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THE FLY di David Cronenberg (1986)

5 Giu

Film TV: Ci sono due campane di metallo nel laboratorio del dottor Brundle. Lui le chiama “telepod” e le usa per trasportare la materia. All’inizio tutti non lo prendono sul serio, compresa la giornalista Veronica Quaife. Poi Brundle decide di provare su se stesso la nuova invenzione… Remake di un vecchio film di Kurt Neumann che, tra le mani di Cronenberg, diventa un’interrogazione filosofica sulla pesantezza della carne e sulla leggerezza delle mosche. Imperdibile.

A HISTORY OF VIOLENCE di David Cronenberg (2005)

10 Gen

Film TV: Tom Stall, padre di famiglia dall’esistenza apparentemente tranquilla… La violenza è disturbante e come tale va descritta. È evidente che Cronenberg prende le distanze dai meccanismi di spettacolarizzazione così tipici dell’ultima Hollywood, nelle sue pratiche “alte” o “basse”: ne risulta un film densissimo di significati ed estremamente inquietante. Bravissimi tutti gli attori, da Mortensen alla Bello, con una menzione speciale per lo sfregiato e sublime Ed Harris.

Giancarlo Zappoli: Tom Stall è il proprietario di un piccolo ristorante in una cittadina di provincia. Tratto da un fumetto di John Wagner il film di Cronenberg torna sui territori cari al regista: l’identità, la possibile schizofrenia, il rapporto tra realtà e apparenza. Anche lo stile narrativo gioca su questi elementi, tanto che il film potrebbe essere oggetto di una doppia recensione. Se lo si prende per come appare si tratta di un thriller molto stereotipato con buone dosi di esagerazione narrativa e di umorismo spesso involontario. Se invece lo si legge a partire dalla prima inquadratura che sembra un quadro di Hopper allora le cose cambiano. Si pensa al Cronenberg raffinato intellettuale che opera una rilettura sui generi per svelarne la fragilità e l’ambiguità. Questa volta propendiamo per la prima scelta quasi che il regista canadese, dopo la complessa prova di Spider avesse deciso di avvalersi di una fonte di ispirazione “bassa” per vedere come i meccanismi narrativi funzionano in quel contesto senza però volersene distanziare criticamente. Grande, come sempre, Ed Harris.

Morandini: Tom Stall vive da vent’anni con la moglie Edie, avvocato, e due figli. Primo film di Cronenberg su una sceneggiatura altrui, ma da lui ritoccata, offertagli dalla New Line, cavata dall’omonima graphic novel (1999) di John Wagner e Vince Locke. A livello stilistico è il suo film più classico e lineare, macchina perfetta che però cela un’insolita ricchezza di temi, toni, sfumature e una concretezza realistica non priva di sottile ironia. Si può leggerlo come una parabola sugli Stati Uniti, nazione contaminata dal suo violento passato, o come un’altra metafora sulla normalità della violenza di un pessimista che racconta storie su esseri in cui l’umanità coabita con l’animalità e le sue appendici patologiche. Esemplare l’ambivalente quieto finale. Personaggi scritti con perizia; interpreti scelti e guidati con talento. Girato a Toronto (Canada), città natale del regista che ha trovato Millbrook nell’Ontario.

SPIDER di David Cronenberg (2002)

5 Gen

Mauro Gervasini: Un viaggio al termine della follia e un viaggio nel cinema di David Cronenberg. La riflessione su un altrove falso (falso?) che non è su Marte, o sottoterra, o in mare, o incastrato in una tv che fabbrica consenso, ma è dentro di noi. (…) Con i suoi reticolati strani che diventano, in questo caso, la materia giallognola della pellicola: ragnatele, spaccature del vetro, carte da parati che sembrano fatte di catarro, tubi che attorcigliano; in un contesto che tende all’astrazione.

Morandini: Dal romanzo (1990) di Patrick McGrath che l’ha adattato col regista. Il sedicesimo lungometraggio di Cronenberg esplora gli anfratti umidi e vischiosi di una mente sconvolta, quella di un bambino che, dopo aver sviluppato un affetto morboso per la madre – parallelo alla ripugnanza per la figura paterna – è sprofondato in un infantile senso di colpa rimosso o trasfigurato. La sagacia registica è evidente: memorabile l’interpretazione “ragnesca” di Ralph Fiennes e notevole nella triplice parte Miranda Richardson; la cupa e claustrofobica ambientazione in interni (i muri, i fili) e in esterni (il gasometro, lo squallore periferico); gli agganci ai film precedenti e i rimandi letterari; l’allucinazione dello scrivere, anzi dell’essere scritti. Qualcosa, però, non funziona e frena l’empatia della spettatore. Non è soltanto il primario canovaccio edipico da manuale di psicanalisi, cioè l’incompatibilità tra sfera sessuale e sfera materna. È qualcosa che sta nei rapporti soltanto in parte risolti tra letteratura e cinema, e forse nello stesso romanzo di McGrath.

Film TV: Sarebbe stato impossibile trovare un regista più adatto di Cronenberg per narrare il solitario viaggio nell’incubo di Spider, per riuscire a rendere gli impercettibili confini tra i suoi mondi, per fargli rivivere da spettatore ciò che ha già vissuto da bambino (o forse no…). L’autore canadese è un maestro nella materializzazione di un’atmosfera che si fa racconto, sperdimento interiore, e nella frantumazione concentrica dei punti di vista, tanto da affogarci nella stessa incertezza di prospettiva del protagonista (uno straordinario Fiennes, la cui performance può essere valutata appieno solo nella versione originale), nella sua memoria e nella sua coscienza deragliate.Un film di “percezione” più che di “narrazione”; basato non su un plot, ma su una trama che pare modellata da Escher. Sentire i borbottii di Spider, intuire gli scarabocchi tracciati sui suoi quaderni, annusare l’aria che lui annusa. Nulla ha senso se non l’asfissiante odore di gas.