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ZIR-E DERAKHTAN-E ZYTUN di Abbas Kiarostami (1994)

21 Apr

Film TV: Il regista Keshavarz sta girando “E la vita continua“. Ha scelto due attori non professionisti per interpretare una coppia di giovani sposi, ma il protagonista maschile improvvisamente va sostituito… Kiarostami traduce la sua formazione in una leggerezza di tocco, una capacità di dipingere caratteri e gesti semplici trasformandoli in materiale poetico. Lascia che la storia d’amore dentro il film si dilati finché i due ragazzi padroneggiano la scena; continua così il suo discorso sugli intrecci di cinema e realtà. “E la vita continua” è davvero il titolo di un suo film del 1992.

Morandini: In un villaggio del Gilan, regione al nord dell’Iran devastata dal terremoto del giugno 1990, un regista ha difficoltà nel girare un film perché tra due giovani del luogo, scelti come interpreti, è in corso una contrastata storia d’amore. Kiarostami, chiude la “trilogia del terremoto”, formata da Dov’è la casa del mio amico? e E la vita continua con un film mirabile per semplicità e trasparenza, ma anche raffinato nella sua dialettica tra realtà e finzione che rinnova la categoria del “cinema nel cinema”. Da antologia il campo lunghissimo finale: infatti i film di Kiarostami sono anche una riflessione sulla percezione.

PIDÄ HUIVISTA KIINI, TATJANA di Aki Kaurismaki (1994)

6 Feb

Morandini: Nella Finlandia degli anni ’60 Valto fa il sarto e beve solo caffè in continuazione e Reino, meccanico, beve vodka come fosse acqua. Kaurismäki fa cinema con la stessa facilità con cui respira e riesce a farci salire “in un viaggio che non serve a nulla, con personaggi che non vogliono dire nulla, in una storia che non significa nulla” (G. De Marinis). Il titolo originale sta per “Attenta al foulard, Tatjana”. Molto rock, un bianconero laconico.

Farinotti (mymovies): Finlandia anni Sessanta. Si beve vodka e caffè, si ascolta il rockabilly e ci si innamora di una turista estone decidendo di lasciare il paese. Kaurismäki è sempre più minimalista e asciutto, libero da condizionamenti di carattere goliardico caratteristici in altre sue opere.

Film TV: Due amici, Valto e Reino in viaggio su una Volga nera, incontrano due donne, una estone e l’altra russa, che si uniscono alle loro peregrinazioni. In un’ora circa Aki Kaurismäki elabora un’analisi di personaggi connotati dalla difficoltà di aprirsi, di cercare qualcosa al di fuori di sé. Niente drammi, anzi un tono da commedia, dove però l’ironia, per quanto bonaria, lascia egualmente il segno.

THE SHAWSHANK REDEMPTION di Frank Darabont (1994)

10 Dic

Morandini: Dal racconto Rita Hayworth and the Shawshank Redemption di Stephen King (nel volume Stagioni diverse). È il più intelligente e sottovalutato dramma carcerario in linea con la migliore tradizione hollywoodiana (claustrofobico, violento, garantista, liberale) con 2 novità: il tema della durata (il tempo che passa) e i connotati sociali del protagonista, vittima di un errore giudiziario. Le mozartiane Nozze di Figaro in una sequenza d’antologia di un film dove il rispetto delle convenzioni assume le cadenze serene e rasserenanti del cinema classico, impregnato di un generoso umanesimo. Esordio registico dello sceneggiatore F. Darabont.

Film TV: Siamo nel 1946. Processato per l’omicidio della moglie e del suo amante, Andy, un bancario del New England, viene condannato a un doppio ergastolo e recluso nel penitenziario di Shawshank. Fra le sbarre c’è il solito campionario di umanità: sodomiti per necessità, guardiani più delinquenti dei detenuti, un direttore rapace e per bibliotecario un vecchio ergastolano, James Whitmore, che incarna la grandezza del cinema americano di una volta. È un bel film carcerario, tratto da uno dei migliori romanzi di Stephen King. Robbins migliora sempre, Freeman è sobrio e concreto quanto basta e perfino il lieto fine non disturba.

IL TORO di Carlo Mazzacurati (1994)

11 Nov

Morandini: Come nelle opere precedenti del padovano Mazzacurati, il film parte da un’idea forte, originale, carica di potenziale metaforico, il magnifico e mostruoso toro diventa qui l’emblema del capitalismo, ma il racconto si rivela poi debole e sfrangiato. I temi sono indicati, ma non approfonditi. Manca di energia. Abbonda, invece, come in tanto cinema italiano degli anni ’90, un’aria lamentosa di sconfitta, rassegnazione, disorientamento. Musiche di Ivano Fossati.

il regista su Alberto Lattuada: “Qualche anno prima di fare Il toro, Tele+ mi chiese se volevo filmare una conversazione con un regista di esperienza a cui io avevo guardato sempre con rispetto ed interesse: avevo pensato che mi sarebbe piaciuto fare questa conversazione filmata con Lattuada, senonché, quando lo andai a trovare, lui mi disse che nel frattempo questo lavoro l’aveva già fatto con Daniele Luchetti. Ho filmato pertanto tale conversazione con un altro regista interessantissimo, Giuseppe De Santis, però mi era rimasta la voglia di fare qualche cosa con Lattuada. Quando ho scritto Il toro, mi ero chiesto se, nonostante non fosse certo più un ragazzino, gli andasse di fare una piccola apparizione in questo film, e lui – molto simpaticamente ed affettuosamente – accettò: aveva visto qualche mio film e credo gli fosse piaciuto, trovando magari una contiguità legata ad alcuni suoi lavori, come Il mulino del Po. Era più per averlo come presenza fisica, e si rivelò per me un ottima faccenda. Gli avevo detto: ‘Mi raccomando, Alberto, vorrei che questo personaggio fumasse il sigaro’, perché avevo visto che lui fumava il toscano. Siccome abbiamo ripetuto la scena non so quante volte, perché anche lui era un perfezionista, alla sera mi ha detto: ‘Guarda che mi avrai fatto fumare cinquanta toscani’, ed ero preoccupatissimo che si fosse un po’ intossicato. Ricordo una persona molto disponibile e gentile, per niente con l’aria di uno che viene dal grande cinema del passato: insomma, era proprio una bella persona”.

Film TV: Franco e Loris, l’inserviente licenziato di un allevamento bovino e un piccolo allevatore sull’orlo del fallimento, sono in viaggio dal Nord Italia all’Ungheria, in camion, in treno, a piedi. Li accompagna Corinto, il numero cinque al mondo, campione della riproduzione artificiale, che i due hanno rubato all’allevamento e vogliono vendere. E il suo ritmo imponente e inerme è anche quello su cui si calibra il ritmo del film: scorrevole e senza fretta, con lunghe pause “ruminanti” durante le quali Franco e Loris sfiorano la tristezza della guerra, la desolazione di profughi, l’arroganza di quelli che fanno affari nella terra di nessuno dell’ex socialismo. Un passo giusto per Mazzacurati, amaro, bellissimo negli esterni, complice negli interni notturni

SENZA PELLE di Alessandro d’Alatri (1994)

21 Ott

Morandini: Un’idea forte di partenza, sviluppata senza divagazioni né demagogia sentimentale con una conclusione che apre uno spiraglio di speranza per il giovane Saverio. Un bel trio d’interpreti, un solido impianto drammaturgico, una suggestiva e funzionale colonna musicale di sonorità klezmer (ebraico-balcaniche), curata da Moni Ovadia e Alfredo La Cosegliaz.

Mereghetti: D’alatri racconta l’impatto della sofferenza mentale sulla quotidianità di persone qualunque con un indovinato tono minimale che gli permette di sfuggire a vari cliché: ideologici, sociologici e d’autore. (…) nulla è esasperato per supposte esigenze artistiche, ma tutto (linguaggio, reazioni, azioni) è filtrato da un sano senso di realtà. Ottimi gli interpreti per la credibile naturalezza che danno ai loro personaggi e la musica per le sonorità (ebraico-tzigane) che evocano l’erranza psicologica di Saverio in parallelo alle immagini.

Film TV: D’Alatri tratta con efficace delicatezza il tema della patologia psichica, costringendo lo spettatore a mettere in scena le proprie certezze di normalità. Bravi tutti, specie Kim Rossi Stewart in un ruolo ritagliato su misura per lui.