Morandini: Come nelle opere precedenti del padovano Mazzacurati, il film parte da un’idea forte, originale, carica di potenziale metaforico, il magnifico e mostruoso toro diventa qui l’emblema del capitalismo, ma il racconto si rivela poi debole e sfrangiato. I temi sono indicati, ma non approfonditi. Manca di energia. Abbonda, invece, come in tanto cinema italiano degli anni ’90, un’aria lamentosa di sconfitta, rassegnazione, disorientamento. Musiche di Ivano Fossati.
il regista su Alberto Lattuada: “Qualche anno prima di fare Il toro, Tele+ mi chiese se volevo filmare una conversazione con un regista di esperienza a cui io avevo guardato sempre con rispetto ed interesse: avevo pensato che mi sarebbe piaciuto fare questa conversazione filmata con Lattuada, senonché, quando lo andai a trovare, lui mi disse che nel frattempo questo lavoro l’aveva già fatto con Daniele Luchetti. Ho filmato pertanto tale conversazione con un altro regista interessantissimo, Giuseppe De Santis, però mi era rimasta la voglia di fare qualche cosa con Lattuada. Quando ho scritto Il toro, mi ero chiesto se, nonostante non fosse certo più un ragazzino, gli andasse di fare una piccola apparizione in questo film, e lui – molto simpaticamente ed affettuosamente – accettò: aveva visto qualche mio film e credo gli fosse piaciuto, trovando magari una contiguità legata ad alcuni suoi lavori, come Il mulino del Po. Era più per averlo come presenza fisica, e si rivelò per me un ottima faccenda. Gli avevo detto: ‘Mi raccomando, Alberto, vorrei che questo personaggio fumasse il sigaro’, perché avevo visto che lui fumava il toscano. Siccome abbiamo ripetuto la scena non so quante volte, perché anche lui era un perfezionista, alla sera mi ha detto: ‘Guarda che mi avrai fatto fumare cinquanta toscani’, ed ero preoccupatissimo che si fosse un po’ intossicato. Ricordo una persona molto disponibile e gentile, per niente con l’aria di uno che viene dal grande cinema del passato: insomma, era proprio una bella persona”.
Film TV: Franco e Loris, l’inserviente licenziato di un allevamento bovino e un piccolo allevatore sull’orlo del fallimento, sono in viaggio dal Nord Italia all’Ungheria, in camion, in treno, a piedi. Li accompagna Corinto, il numero cinque al mondo, campione della riproduzione artificiale, che i due hanno rubato all’allevamento e vogliono vendere. E il suo ritmo imponente e inerme è anche quello su cui si calibra il ritmo del film: scorrevole e senza fretta, con lunghe pause “ruminanti” durante le quali Franco e Loris sfiorano la tristezza della guerra, la desolazione di profughi, l’arroganza di quelli che fanno affari nella terra di nessuno dell’ex socialismo. Un passo giusto per Mazzacurati, amaro, bellissimo negli esterni, complice negli interni notturni
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