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HANA-BI di Takeshi Kitano (1997)

22 Lug

 Film TV: L’investigatore Nishi va a far visita alla moglie ricoverata in ospedale e non accompagna il suo collega Horibe in una missione di sorveglianza. Quando arriva in ospedale apprende che le condizioni della moglie sono più gravi del previsto e che Horibe è stato colpito. “Hana-Bi” non ci affascina solo perché ci immerge nella disperazione e nella raffinatezza della vita e della cultura giapponese, solo perché è “insolito”. “Hana-Bi” è un film dolente e furibondo, percorso da una qualità d’immagine straordinaria, da un’idea di cinema rigorosa e sconvolgente. Ed è il capolavoro, giustamente premiato a Venezia nel 1997, di un uomo solo, scritto, diretto, interpretato, montato da Takeshi Kitano (che è anche l’autore dei lussureggianti disegni). Fa venire in mente il Godard matto e ruvido degli anni Sessanta (“Weekend” e “Pierrot le Fou“), anche se Kitano, sempre sardonico e sbrigativo, dice di non conoscere i suoi film. Ma, come aveva Godard, ha la stoffa del grande consapevole distruttore.

 

MARIUS ET JEANNETTE: UN CONTE DE L’ESTAQUE di Robert Guédiguian (1997)

21 Apr

Film TV: Un quartiere di Marsiglia, l’Estaque, dove un piccolo porto si è fatto crescere intorno le fabbriche di inizio secolo e, all’interno di questo, un cortile dove un piccolo vicinato si scambia affetto, ironia e solidarietà nei momenti infelici. Jeannette, una cassiera, sola con due figli, vive nella sicurezza familiare del cortile; Marius, un proletario grande e grosso sempre infilato nella sua tuta rossa di lavoro, vive invece nell’enorme fabbrica in disuso di cui è guardiano. Film solare, caldo, “saporito” come l’ambiente che descrive.

Morandini: Una storia d’amore tra poveri che vivono nel quartiere popolare di Estaque a Marsiglia. Marius fa il guardiano in un cementificio in disuso e Jeannette tira su due figli di due uomini diversi con uno stipendio di cassiera. Fanno da coro i vicini di casa. È una favola realistica ma senza retorica né demagogia populista, una commedia di quartiere con molta luce, una ventata di aria fresca con personaggi amabili, credibili, raccontati con un affetto che non esclude l’ironia. L’incanto e la vitalità del film nascono dalla sapienza con cui Guédiguian sa mescolare il buffo e il tenero, la commedia e il melodramma.

LE ACROBATE di Silvio Soldini (1997)

6 Apr

Film TV: La bambina Teresa ha perso un dentino e ha bisogno di un posto speciale dove lasciarlo riposare per sempre. La meridionale Maria è spenta da una quotidianità contrassegnata dalla scialba routine: inconsapevolmente infelice, potenzialmente in grado di scalare le montagne. Elena del Nord è una chimica bravissima nel miscelare formule per cosmetici, ma indisciplinata con la propria vita (da) separata: amante senza il coraggio del confronto, vuota come una giornata trascorsa a guardare la Tv. Per sanare ogni urgenza piove dal cielo carico di pioggia, Anita: un angelo, probabilmente. Il cinema di Soldini ha lo sguardo fermo, algido, lucido. Ma in questo film di donne sospese e attonite, le priorità paiono indirizzarsi sui sentimenti, i ghiacci sembrano sciogliersi sotto i colpi di una scandalosa tenerezza.

Morandini: Impersonato da un’anziana slava, il caso fa incontrare due donne, la benestante Elena di Treviso e la malmaritata Maria di Taranto, entrambe insoddisfatte, ma non rassegnate. Non dramma né racconto psicologico, tocca temi gravi, ma con delicatezza. Registra malessere sociale e disagi esistenziali, ma si affaccia alla speranza, alla volontà di cambiare. Fondato su un quadrilatero femminile, con gli uomini sullo sfondo, ha due ottime protagoniste in Licia Maglietta e Valeria Golino. Cammina sulle punte, in alto, in equilibrio precario e difficile. Ha trovato estimatori, non un pubblico: appartiene all’infelice categoria dei film che non si consumano, ma durano.

AL MASSIR di Youssef Chahine (1997)

4 Mar

Morandini: Cordoba, nell’Andalusia araba del 1195, il califfo Al-Mansour cerca di mediare la furia degli integralisti che hanno tra i loro bersagli il filosofo e scienziato Muhammad ibn Rushd (1126-1198), noto in Occidente come Averroè, celebre commentatore di Aristotele e massimo esponente di quella cultura arabo-ispanica che fiorì in Andalusia tra il VII e il XII secolo in pacifica coesistenza con la cultura cristiana ed ebraica. È lui il perno di un film che, nel raccontare fatti e personaggi di 800 anni fa, adombra problemi, fanatismi e sanguinosi conflitti nel mondo arabo di oggi. Coerente a sé stesso Youssef Chahine, il più grande dei cineasti arabi, fa un cinema popolare e, insieme, colto. Film scattante, svariante, pittoresco che contamina temi e generi (musical, biografico, western, cappa e spada, Dumas, Walter Scott, Rossellini). Esterni girati in Siria. Palma d’oro del cinquantenario a Cannes 1997.

Film TV: Cordova, dodicesimo secolo. Per soddisfare le richieste dei gruppi fondamentalisti, il Califfo Al Mansour ordina che tutte le opere di Averroè, uomo di vastissima cultura e commentatore di Aristotele, vengano date alle fiamme. È il primo film di Youssef Chahine, tra i più importanti cineasti del nostro tempo, ad avere in Italia una distribuzione dignitosa: meglio tardi che mai. E se doveva, prima o poi, accadere, è bello che sia accaduto per “Al Massir” (premiato a Cannes ’97 con una Palma d’oro alla carriera del grande regista egiziano), un inno contro ogni forma di fondamentalismo e ideologico e religioso guidato dalla straordinaria figura del filosofo Averroè, libero pensatore tradito dal suo Califfo. Ma “Il destino” non è un film da vedere solo per le cose che dice: in un vorticoso carosello di musiche e balletti che rimandano a Minnelli, Chahine disegna i suoi meravigliosi personaggi come avrebbe fatto l’amatissimo Duvivier. E, non sazio, li immerge in atmosfere fra il western e il feuilleton.

TITANIC di James Cameron (1997)

12 Gen

Morandini: Il Titanic impiegò 2 ore e 40 minuti per colare a picco dopo la collisione con un iceberg nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1912. Il canadese Cameron ha rievocato la tragedia in 3 ore e 14 minuti di cui poco più di un’ora riguarda l’affondamento. Cineasta dai codici filmici forti, Cameron vi fonde il melodramma, il catastrofico e l’epico nel contesto della rigorosa cronaca di una tragedia colposa, indicando gli errori tecnici, le responsabilità umane, le smanie da prima pagina, le viltà, la divisione in classi. Si presta così a molti percorsi interpretativi: il politico, il sociale, lo storico, il simbolico, il filmico, il metacinematografico, il tecnologico. Come e più che nei film precedenti del regista, gli effetti speciali sono al servizio della storia e dei personaggi: un mezzo e non un fine. È il film dei primati: per i 200 milioni di dollari di costo (ma meno di Cleopatra, 1963); per il sovraccosto (60-70 milioni più del preventivo); per gli incassi (i più alti in senso assoluto, ma al 22° posto in termini relativi, cioè in numero di spettatori); per gli 11 Oscar. Al film lavorarono più persone di quante ne furono imbarcate nel 1912 sulla nave.

Farinotti (mymovies): La vicenda centrale del film è l’amore tra Rose e Jack, lei di famiglia aristocratica, e lui pittore che viaggia in terza classe. Dice Cameron che il Titanic rappresenta il grande sogno umano non realizzato: la tecnologia fallita, le gerarchie sociali che determinarono le precedenze di salvataggio. Nella storia c’è anche il mistero di un prezioso gioiello scomparso e il dramma della gelosia del nobile fidanzato di Rose. Grande spettacolo non inquinato, per fortuna, dai troppi effetti e dal montaggio isterico applicato solitamente ai catastrofici.

Film TV: Un equipaggio cerca di recuperare un diamante nel relitto del Titanic, e va dall’unica superstite. Flashback… Azzurro e rosso segnano un film accorato e maestoso che arriva allo spirito (del tempo, delle persone, delle ambizioni) attraverso un amore sfrenato per la fisicità. Cameron ha un senso giustamente mitico della tragedia e un senso profondamente umano dei suoi tempi. Gli ultimi 90 minuti sono costruiti con un magnifico, sotterraneo impennarsi della tensione. La storia d’amore che fa da filo conduttore (l’anello più fragile del film) riflette le tensioni sociali e umane che fecero da sfondo alla tragedia. E il personaggio di Kate Winslet domina, protagonista dubbiosa, sensuale e assoluta.

MIDNIGHT IN THE GARDEN OF GOOD AND EVIL di Clint Eastwood (1997)

26 Dic

Morandini: A Savannah il 2 maggio 1981 Jim Williams, ricco antiquario, uccide a colpi di pistola Billy Hanson, suo giovane amante e mantenuto. La sceneggiatura è desunta da un libro inchiesta di John Berendt, sceneggiato da John Lee Hancock, ed è una storia sotto il segno dell’ambiguità. Tolto l’omicidio, non succede niente. Sapiente e sottile il camaleontico Spacey attorniato da eccentrici personaggi di secondo piano sui quali il racconto indugia. Tra questi la straordinaria Lady Chablis, transessuale che ruba ogni scena in cui appare. Divertente la gag dell’ex cameriere nero di impeccabile distinzione che ogni giorno porta a passeggio un cane che non c’è.

Film TV: A Savannah, nello stato della Georgia, c’è un quadro, piuttosto prezioso, ma è una sovrapposizione e il suo proprietario non vuole sapere cosa c’è sotto. «La verità è come l’arte: sta nell’occhio di chi guarda», dice uno dei protagonisti. Anche il film di Eastwood è nell’occhio di chi guarda: forse un thriller, forse (è più probabile) una devastante, sotterranea ballata sulla provincia meridionale: come dice il giornalista che arriva là per un servizio e decide di restarci, Savannah è «come “Via col vento” alla mescalina». Molto bella la prima parte d’ambiente, di caratteri, di sinuosi, interrogativi pedinamenti della macchina da presa. Più stanca, purtroppo, la seconda: forse perché non se ne può più dei film processuali, ma anche a Eastwood il risvolto giudiziario non sembra interessare troppo. Camaleontica l’interpretazione di Spacey, discreta e “funzionale” quella di Cusack.

THE SWEET HEREAFTER di Atom Egoyan (1997)

10 Dic

Morandini: Non è un film di denuncia sociale né un dramma giudiziario o una detective story. I suoi temi sono altrove: la sopravvivenza a una tragedia familiare, l’elaborazione del lutto, il senso di colpa degli adulti quando un bambino muore, la convivenza con il dolore. Da un romanzo di Russell Banks, Atom Egoyan ha tratto il suo quinto e più maturo film, girato in Cinemascope come per prendere le distanze da una materia incandescente nel suo dolente pathos. Gran Premio della Giuria a Cannes.

Film TV: (…) è la storia intrecciata delle innumerevoli “stragi d’innocenti” che la nostra civiltà continua a perpetrare: stragi letterali, come il volo nell’abisso di un autobus scolastico, ma anche le stragi soffocate e individuali. Immerso nella neve e nel verde e azzurro del paesaggio canadese, è percorso dall’anima in pena Ian Holm, un attore che fa star male con i suoi occhi tristi e al quale tocca il lungo primo piano di una telefonata straziante con la figlia. Un film doveroso e doloroso, retto nei suoi continui intrecci temporali dalla regia impeccabile, sinuosa e mai autocompiaciuta di Egoyan, che dimostra di saper passare dalle sue ossessioni personali alla suggestione di una tragedia universale, sul filo di una delle “fiabe” più agghiaccianti del mondo, “Il pifferaio di Hamelin”.