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DERSU UZALA di Akira Kurosawa (1976)

29 Nov

Film TV:  1902: in zona selvaggia lungo il fiume Ussuri, ai confini con la Manciuria, Dersu Uzala, solitario cacciatore mongolo e di età indefinita, incontra la piccola spedizione cartografica del capitano russo Arseniev. Ispirato ai due libri di viaggio che costituiscono le memorie di Vladimir Arseniev e girato nel corso di due anni in condizioni difficili, segna il ritorno al cinema di Kurosawa dopo un lustro di depressione. Magnifica messa in scena del rapporto d’amicizia e di quello tra l’uomo e la natura.

ZOKU SUGATA SANSHIRO di Akira Kurosawa (1945)

22 Set

dall’Internet Movie Database:

Il combattimento della scena finale fu girato in vero esterno nevoso. Susumu Fujita, combattendo a piedi scalzi, veniva portato a scaldarsi presso un falò tra un ciak e l’altro, quando i piedi iniziavano a intirizzirsi per il congelamento.

YOIDORE TENSHI di Akira Kurosawa

23 Feb

Kurosawa nel Noir di Emanuele Sacchi

: se non hai visto il film, ti consiglio di rimandare la lettura a dopo la visione

Considerato da Kurosawa il suo primo film esente da contaminazioni censorie, liberato dalla censura del regime fascista prima e degli occupanti americani in seguito, L’angelo ubriaco rimane una delle rare incursioni del regista nel noir (o almeno a una forma molto personale dello stesso). Kurosawa non si consegna al cinema di genere, ma lo usa per introdurre diversi temi a lui cari, concentrandosi sul valore morale della figura del medico, affidata come da tradizione all’interpretazione di un maestoso Takashi Shimura. Al dottore-angelo, fragile quanto a volontà ma baluardo di saldi principi morali, si contrappone il gangster – giovane, scriteriato e autolesionista – incarnato da un già promettente Mifune Toshiro: il rapporto tra i due, conflittuale ma di grande affetto reciproco, riprende la tipica dialettica kurosawiana sull’amicizia virile e sulla solidarietà umana, con un dualismo Shimura-Mifune che tornerà più volte, fino agli esiti di eccellenza de I sette samurai.

Lo stagno, che circonda il quartiere in cui Sanada si trova a operare, funge da metafora – facile, diretta, ma efficace, proprio come i primi piani espressionisti e altri topoi della poetica kurosawiana – della sporcizia morale e fisica di una società malata come quella del dopoguerra nipponico, scenario di miseria assoluta, senza alcuna speranza che non sia quella della dedizione al crimine e al profitto facile. Matsunaga è tutt’altro che un personaggio positivo, con le sue mille doppiezze e menzogne, ma è impossibile non simpatizzare con il dramma umano che dilania il suo animo tanto quanto la tubercolosi divora i suoi polmoni.
Tra le diverse sequenze memorabili un posto speciale va riservato, oltre che allo showdown improntato all’eccesso, al sogno di Matsunaga, bergmaniano presagio di morte difficile da dimenticare.

YOIDORE TENSHI di Akira Kurosawa (1948)

23 Feb

Dal booklet del dvd distribuito in Italia da Hobby and Work:

Kurosawa firma con L’angelo ubriaco il suo primo film davvero personale, con tutta probabilita il primo autentico capolavoro del cinema giapponese del dopoguerra. L’angelo ubriaco include tutti gli elementi portanti del Kurosawa urbano e tragicamente umanista: la malattia, la morte, l’onore, l'(auto)condanna a una vita malavitosa, il desiderio di riscatto, un’amicizia apparentemente impossibile. Elementi che fluiscono e cozzano fra loro nel fiume impietoso delle immagini girate e montate dallo stesso Kurosawa, secondo ritmi “moderni” allora scioccanti per le platee nipponiche, abituate a narrazioni ben più soffici e edulcorate. Da segnalare l’esordio di Toshiro Mifune, destinato a diventare l’attore feticcio di Kurosawa nonché il volto più noto dell’intera cinematografia giapponese.

Morandini: Nei bassifondi di Tokyo nasce un’amicizia tra un giovane capomafia malato di tbc e un medico alcolizzato che cerca di salvarlo. Giudicato dai critici giapponesi il miglior film del 1948, Kurosawa traccia – a partire dall’immondo acquitrino dove s’affaccia la “clinica” del medico umanista e ubriacone – un memorabile ritratto del disordine postbellico attraverso un rapporto di amore-odio tra due falliti. Angosciante, stridente, implacabile, eppure soffuso di una luce di speranza e di riscatto. Sostenuto da due interpreti eccezionali: Shimura e l’esordiente Mifune, “è il primo film totalmente libero da impedimenti esterni che abbia diretto” (Akira Kurosawa).

Film TV: Tokio nell’immediato dopoguerra è il set di una strana storia d’amicizia tra uno yakuza, tubercolotico malato terminale, e un medico schiacciato dall’alcolismo che decide di prendersene cura. Kurosawa nel ’48 scatta la sua fotografia sull’entropia esistenziale che segue la grande e devastatrice guerra con l’aiuto di due grandi interpreti, Mifune e Shimura, che diventeranno le icone di Kurosawa.

Mereghetti: L’umanitarismo di Kurosawa non si stempera nei proclami astratti, ma si cala in due caratteri straordinari, antitetici e complementari: il medico ubriacone ossessionato dalla lotta contro i germi e il gangster disposto a rinunciare alla vita pur di rispettare il codice d’onore. La violenza figurativa (Matsunaga che vomita sangue, le forbici emostatiche che pendono dalla ferita) e la tensione visionaria (la straordinaria sequenza del sogno) sono temperate da un gusto poeticista, per qualche verso in sintonia con il neorealismo italiano e anche da soprassalti di umorismo cinico.

DONZOKO di Akira Kurosawa (1957)

24 Gen

Morandini: Dal dramma Na dne (Bassifondi, 1902, noto anche come L’albergo dei poveri) di Maksim Gor’kij, già portato sullo schermo da Jean Renoir in Verso la vita (1936). Gestito da un vecchio usuraio e dalla sua rapace consorte, un dormitorio pubblico ospita una dozzina di vagabondi che sognano, ciascuno a suo modo, un’improbabile evasione dalla miseria. Trasposto a Edo (Tokyo) verso la fine dell’era Tokugawa (inizi dell’Ottocento), l’universo gorkiano è rivissuto con un naturalismo crudele e angosciato. Kurosawa mette l’accento sulla dimensione umanistica della vicenda più che su quella sociale, ma il suo è teatro in scatola, sia pur di alta classe, dove ciascuno degli interpreti dà il meglio di sé. Anche troppo.

YOJIMBO di Akira Kurosawa (1961)

28 Dic

Morandini: Nel XVII secolo un samurai vagabondo arriva in un villaggio insanguinato dalla guerra tra due clan e, con machiavellica strategia, diventa l’ago della bilancia mettendo gli uni contro gli altri. Splendido film d’azione in chiave ironica e di ritmo snello, ma anche limpida parabola sulla cupidigia del denaro con risvolti ironici e una lontana parentela con Goldoni (Arlecchino servitore di due padroni). Yojimbo (che significa “guardia del corpo”) è il modello su cui Sergio Leone ricalcò Per un pugno di dollari e Walter Hill Ancora vivo. Ma, forse, all’origine di tutto c’è Red Harvest (Piombo e sangue, 1929) di Dashiell Hammett.

Film TV: Il samurai senza padrone Sanjuro arriva in un paese sconvolto dalle lotte tra due possidenti locali. Violento, ironico, formalmente splendido. Le sequenze d’azione saranno in seguito saccheggiate dal cinema occidentale, che deve a Kurosawa più di quanto sia disposto ad ammettere. Sceneggiato dal regista insieme a Ryuzo Kikushima, il canovaccio ha successivamente ispirato diversi registi occidentali, su tutti Sergio Leone.

Mereghetti: (…) una graffiante parodia di un western hollywoodiano, piena di azione, di violenza e di umorismo sarcastico. Michael Cimino lo citerà nel finale di L’anno del dragone, Laerence Kasdan lo mette nella sceneggiatura di Body-guard. Toshiro Mifune grandeggia nei panni del personaggio beffardo ed enigmatico, vero antesignano di Clint Eastwood. Formalmente uno dei film più brillanti di Kurosawa.