Tag Archives: Bernardo Bertolucci

IO e TE di Bernardo Bertolucci

26 Ott

Conferenza stampa di presentazione

Chissà da quanto tempo non parlavo con un adolescente. Ma in realtà io ho una sorta di deficit di crescita, sono un eterno ragazzo, guardo con partecipazione il loro disagio di vivere. E su questo abbiamo molto lavorato con gli sceneggiatori, è stata dura, mi è piaciuto il libro di Ammanniti ma non il finale. Dovevo cambiare qualcosa. E ho cambiato il finale. In fondo c’è un vero processo di liberazione in questo film, Olivia invade lo spazio di Lorenzo e lui è costretto a fare i conti con l’Altro da se. Una costrizione all’esperienza, iniziazione, è strano che un mio film ci si liberi ai Parioli…

La scelta delle canzoni l’ha fatta in pratica Jacopo Olmo Antinori, io volevo delle canzoni che lo facessero sentire bene con il personaggio. In cui si riconoscesse. Tranne ovviamente la straordinaria coincidenza di Space Oddity di Bowie nella sua versione italiana, che mi son ricordato di avere e quando l’ho riascoltata sembrava veramente scritta per questo film. Ho deciso di mettere un ballo con quella canzone, i balli son sempre molto importanti in un film, ci si libera dal racconto, tutto può accadere.

IL CONFORMISTA di Bernardo Bertolucci

20 Set

dal sito della Cineteca di Bologna: In occasione del conferimento a Bernardo Bertolucci della Palma d’Oro alla carriera, la Cineteca di Bologna e il gruppo editoriale Minerva Raro Video hanno curato una nuova versione del Conformista, sulla base del lavoro effettuato da Vittorio Storaro. Dopo il successo della proiezione in Piazza Maggiore, durante Il Cinema Ritrovato, abbiamo immaginato un’operazione inedita per il nostro Paese: la distribuzione, in digitale, in un numero selezionato di sale di qualità: l’Anteo di Milano, il Massimo di Torino, il Greenwich di Roma e il nostro Lumière.
Il conformista è un film che ha cambiato la storia del cinema, lo stile di Bertolucci, il suo modo di mettere in scena il passato, la Storia, ma anche la sorprendente fotografia di Vittorio Storaro, segnarono in maniera determinante gli autori della new Hollywood, da Coppola, a Scorsese, a De Palma. “È difficile per lo spettatore di oggi cogliere gli elementi di novità che ebbe alla sua uscita un film come Il conformista. Il fatto è che proprio questi elementi di novità erano destinati a diventare stile e sensibilità comune nei decenni successivi. L’elemento decisivo è un nuovo modo di guardare il passato, qualcosa che poi si sarebbe chiamato postmoderno e che ancora veste i panni del rétro. Il passato, con Il conformista, è qualcosa che non era prima.” (Emiliano Morreale)

Al centro del film c’è un uomo, il Marcello interpretato da Jean-Louis Trintignant, che per nascondere la propria diversità sceglie di essere uguale alla massa che lo circonda, così diventa fascista e si trasforma nel killer del suo maestro, un professore antifascista. Il conformista era ambientato nel 1937, ma anche oggi non mi sembra così difficile trovare chi è disposto a tradire i propri ideali per salire sul carro dei vincitori. I conformisti non muoiono mai“. (Bernardo Bertolucci)

THE DREAMERS di Bernardo Bertolucci (2003)

13 Mag

Morandini: Scritto da Gilbert Adair, liberamente tratto dal suo romanzo The Holy Innocents (1989, Santi innocenti e sognatori, 2003). Parigi, febbraio 1968. Durante una manifestazione di protesta per l’allontanamento di Henri Langlois dalla direzione della Cinémathèque Française, lo studente nordamericano Matthew fa amicizia con i gemelli Isabelle e Théo che l’invitano a trasferirsi nel loro appartamento, lasciato libero dai genitori in vacanza. Il rapporto fra i tre – legati dalle stesse passioni (cinema soprattutto, musica rock, politica, la rivolta nell’aria degli anni ’60) – si fa sempre più stretto e trasgressivo, rivolto ai fleurs du mal del principio del piacere. Quando un sasso rompe il vetro della finestra dove dormono (“La rue est entrée dans la chambre” dice Isabelle) i tre scendono in strada. Varcata la soglia dell’alta età, Bertolucci si volta indietro a rievocare, con nostalgia corretta dalla lucidità critica, la sua giovinezza di cinéphile, i soggiorni parigini degli anni ’60 (i primi, non gli ultimi), i bollori dell’impegno politico, la ricerca di identità. Lo fa raccontando “di due che non riescono a cessare di essere uno e di uno che non riesce a smettere di essere (scisso) in due” (Gianni Canova). Ci riesce nel finale. La goffaggine dei personaggi intacca anche il resto. Gli è sfuggito (non ha approfondito) il suo nucleo tragico. Si chiama Isabelle, non a caso l’unica sfiorata dall’idea della morte che rimanda a quella della Mouchette di Bernanos-Bresson. È la vera vittima del rapporto simbiotico e regressivo che la lega a Théo e che per lui è poco più di un giuoco da snob: per Isabelle è un amore impossibile, una passione abortita. Fotografia: Fabio Cianchetti premiata con un Globo d’oro. Con la supervisione di Janice Ginsberg, le canzoni hanno la funzione di manifesti d’epoca.

Giancarlo Zappoli: Bertolucci torna a raccontare di un mondo medio borghese che ben conosce ma che non è rappresentativo del ’68 e delle sue rivolte politiche e sessuali. C’erano anche loro, è vero, e probabilmente oggi stanno dall’altra parte ma il film non lo dice. Preferisce attardarsi sui giovani corpi nudi lasciando spazio a una frigida ricerca estetica. Per molti di quelli che non c’erano è una lettura consolatoria fatta da un Maestro che forse ha dimenticato i veri, per quanto confusi, sogni di quella generazione.

Film TV: Parigi, 1968: rimasti soli mentre i genitori sono in vacanza, Isabelle e Theo invitano a casa loro Matthew, un americano che hanno appena conosciuto. I sognatori di Bertolucci sognano al chiuso, nelle prime file della sala cinematografica e in una bella casa vuota: si raccontano le insofferenze della borghesia illuminata francese e della piccola borghesia americana, che con la tolleranza pacifista cerca di ritrovare l’innocenza perduta. Sognano e sanno che non sarà mai più così, più maturi dei loro corpi, più antichi delle immagini del “loro” cinema. Aperto dal dolly che discende dalla Tour Eiffel (e che si ripete in analoghi movimenti fuori dall’ascensore della casa dei ragazzi), accompagnato da una colonna sonora di “etimologica” precisione e di istantaneo calore emotivo (Jimi Hendrix ed Edith Piaf, i Doors e Françoise Hardy), The Dreamers è girato con la leggerezza del cinema che negli anni ’60 scopriva il mondo, con le fughe di Bande à part e le ingenuità di Pierrot le fou e di Partner, con la voglia di sporcare lo schermo con un pezzo di autobiografia felice, di raccontare che l’unica via di uscita è il suicidio, come per Mouchette, ma che a volte, un colpo d’aria, un sogno che per un istante si materializza, ti può fermare. E la voglia di non dimenticare e di non rimpiangere niente.

IL CONFORMISTA di Bernardo Bertolucci (1970)

29 Gen

Luca Cacciatore: Alle porte della Seconda guerra mondiale, Marcello Clerici, spia della polizia politica fascista, si reca a Parigi in viaggio di nozze. Il taglio di un’inquadratura, la fotografia, sono spesso firme criptate intelligibili all’occhio dell’immaginario collettivo. Bernardo Bertolucci, autentico cinefilo, è tra coloro che ha saputo dar vita ad uno stile inconfondibile. Il conformista, tratto dal romanzo di Alberto Moravia, racchiude già tutte le peculiarità dei film che da lì a poco renderanno l’autore noto a livello mondiale. Puro espressionismo nella sequenza iniziale in cui l’attesa del protagonista è cadenzata da una luce al neon intermittente, creando una sorta di montaggio ottico ricco di simbologia. E poi il montaggio in continuo slittamento temporale tra feedback concentrici; i lunghi piani sequenza e le inquadrature sghembe. Le tematiche care a Bertolucci sono già evidenti: l’erotismo e la politica, l’omosessualità e l’amata Parigi. La crisi esistenziale che prova Marcello Clerici è genialmente espressa attraverso il mito della caverna di Platone. Il turbamento del protagonista viene così immerso in una tematica sociale più ampia ad essa simmetrica.

Mereghetti: Tratto da Moravia, sceneggiato dallo stesso Bertolucci, il film, tutto centrato sull’aspirazione all’ordine e al conformismo come compensazione di un’inconfessata e repressa omosessualità, affronta in maniera molto personale il nodo complesso dei rapporti tra fascismo e borghesia: l’ambiguità di Marcello, il suo voler uccidere il proprio padre ideale, il panorama di donne vili e personaggi brutali che accompagnano il viaggio a Parigi (rievocata con bel gusto nostalgico) portano a leggere nel fascismo la parte nera della borghesia, la sua tentazione “malata”, in eterna lotta con la parte sana (qui l’antifascismo). Un’interpretazione che ai tempi procurò al regista più di un’incomprensione e di cui, bisogna aggiungere, Bertolucci “subisce la fascinazione più di quanto non sembri capace di analizzarla e scavarla“. L’edizione integrale, presentata solo al festival di Berlino del 1970 e restaurata nel 1993, dura 10′ in più.

NOVECENTO (atto I e atto II) di Bernardo Bertolucci

16 Gen

Morandini: Atto I: in una fattoria dell’Emilia crescono insieme Olmo, figlio di contadini, e Alfredo, erede del padrone, nati nello stesso giorno del 1900. Atto II: negli anni ’30 le strade di Olmo e Alfredo si separano. Fondato sulla dialettica dei contrari: è un film sulla lotta di classe in chiave antipadronale finanziato con dollari americani; cerca di fondere il cinema classico americano con il realismo socialista sovietico (più un risvolto finale da film-balletto cinese); è un melodramma politico in bilico tra Marx e Freud che attinge a Verdi, al romanzo dell’Ottocento, al mélo hollywoodiano degli anni ’50. Senza evitare i rischi della ridondanza, Bertolucci gioca le sue carte sui due versanti del racconto.

Farinotti (mymovies): Questo film di Bertolucci, una maratona complessiva di cinque ore, racconta la storia di tre generazioni, impegnata nella lotta di classe in Emilia, terra di forti contrasti e di robuste tradizioni, sullo sfondo di un secolo di politica italiana. Un grande affresco con una cura persino eccessiva per i particolari (per esempio uno studio molto approfondito su una certa “pittura contadina” da Miller a Van Gogh, a Pellizza da Volpedo). Il discorso sociale finisce comunque per essere un po’ di parte; non è certo questo l’aspetto migliore del film.

Mereghetti: (…) in bilico tra Verdi e Freud, di cui mescola suggestioni musicali parmensi e nodi edipici, il film insegue un suo progetto didattico ambizioso e ciclopico, ma non riesce a fondere compiutamente esigenze spettacolari e impegno politico. Nella seconda parte Bertolucci cerca di fondere le due anime del suo film, cioè il fascino narrativo di tipo hollywoodiano e la scelta realistica di memoria socialista.

ULTIMO TANGO A PARIGI di Bernardo Bertolucci (1972)

11 Gen

Morandini: Osannato o disprezzato (sequestrato, condannato “al rogo”, liberato negli anni ’80), questo film “scandaloso” suggerisce con violenza di prendere sul serio (sul tragico) la verità dell’erotismo. Contribuiscono al risultato la luce di Storaro e le musiche di Gato Barbieri per un irripetibile Brando, guidato dal talento di un regista che con la musicale mobilità della cinepresa lega spazio, personaggi, oggetti e décor. Ebbe 14 milioni di spettatori, compresi quelli della riedizione Titanus del 1987. Messo in onda il 21-9-1988 su Canale 5, scorciato di circa 3 minuti. Le sue vicissitudini giudiziarie durarono un quindicennio fino alla sentenza di non oscenità del 9-2-1987 che non cancellò ma scavalcò la sentenza della Cassazione del 29-1-1976 con la cosiddetta condanna “al rogo”. “A Ultimo tango è successo di tutto e ha fatto succedere tutto” (Tatti Sanguineti).

 

Film TV: In un appartamento da affittare, Paul incontra Jeanne… Una storia d’amore impossibile e disperata. Un urlo straziante della borghesia. Una sfida, distillata nell’eleganza e nella conoscenza del cinema, alle convenzioni accomodanti del cinema dei padri. Tra Jean-Pierre Léaud, un’icona della Nouvelle Vague, e l’oggetto carnale e misterioso rappresentato da Maria Schneider. Il film fu sequestrato e le copie bruciate (tranne una), al termine di un processo per oscenità. Musica di Gato Barbieri, bellissima fotografia di Vittorio Storaro.

Mereghetti: Film scandalo degli anni settanta è invecchiato bene, ancora capace di parlarci della solitudine e della distanza fra i sessi nella nostra società: certo molte cose sono superflue e anche “false”, ma la “strana, infernale plasticità” di Brando, la luce pastosa di Vittorio Storaro e la “musicale mobilità” della macchina da presa di Bertolucci ne fanno un’opera indimenticabile. La futura regista Catherine Breillat è Mouchette e Susan Sontag la fioraia ambulante.