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STARDUST MEMORIES di Woody Allen (1980)

12 Nov

Mereghetti: Un regista in crisi trascorre, tra ricordi e problemi sentimentali, un weekend all’hotel Stardust di Long Island. Una citazione dell’incubo di 8 e mezzo, apre il più supponente dei film di Allen, narcisisticamente compiaciuto nel mostrare gli inconvenienti del successo. Difficile dare credito ai suoi tormenti o sorridere per le citazioni dei suoi maestri. Un fallimento anche al botteghino.

Film TV: Sandy Bates, regista-attore di film comici, è ospite per un weekend nel vecchio Stardust Hotel, nel New Jersey. Qui partecipa a un dibattito col pubblico che ha visto uno dei suoi film, ma questa è anche l’occasione per un confronto sentimentale con tre donne, una del suo passato, quella del presente e quella di un possibile futuro. Bates si porrà domande sulla vita e sul valore di questa. Allen tenta un personale “Otto e mezzo“, ricco di humour perfido, di divagazioni fantastiche, di aneliti “filosofici” (di una filosofia alleniana, ovviamente). Un tonfo al botteghino in America, ma la classe dell’autore c’è, eccome.

Morandini: Ritratto di un attore-regista di commedie un po’ nevrotico e molto depresso in crisi sentimentale e professionale (i produttori stanno montando il suo primo film drammatico in modo da farlo sembrare una commedia). È forse il film di Woody Allen più bistrattato dai critici e accolto male dal pubblico, almeno negli USA, sia con l’accusa di aver imitato 8 1/2 di Fellini sia perché il personaggio centrale del regista fu identificato con l’autore, non tenendo conto, come dice un altro personaggio del film, che nella comicità c’è, quasi sempre, una componente di ostilità. Ha un solo grande difetto: un eccesso di intelligenza, dilapidata più che organizzata. Ma esistono sbagli di talento che valgono più di certe riuscite della mediocrità. Cammeo di Sharon Stone. Musica: Dick Hyman.

THE TREE OF LIFE di Terrence Malick

21 Set

Mereghetti dal Corriere della Sera: Si esce frastornati dalla proiezione di The Tree of Life: per la forza delle immagini, la sacralità dei temi ma anche per la complessità e l’oscurità dei dettagli e delle scelte registiche. Terrence Malick
non è mai stato un regista facile e i suoi quattro film ci hanno insegnato che l’inquadratura di un fiore o di un filo d’erba può essere imprtante come un dialogo o una scena intera. Qui però la sua ambizione vola ancora più in alto, alla ricerca di quell’“opera-mondo” capace di dire insieme la complessità e la semplicità della Vita e della Storia.

Così, la quotidianità di una famiglia piccolo borghese in Texas, negli anni Cinquanta, gli O’Brien, padre madre e tre figli, si allarga sino a confrontarsi con le due grandi forze del reale, la Grazia (cioè la fede in un ordine superiore) e la Natura (cioè l’esperienza della vita e quindi della morte). Fino a inglobare la storia intera del mondo, dall’alfa all’omega, dalla creazione delle primissime cellule all’ordine del cosmo. E quello che appare evidente al “filosofo” Malick (ha insegnato questa materia per anni), il “cineasta” Malick si sforza di metterlo in immagini, senza preoccuparsi né della linearità narrativa né delle aspettative del pubblico.

ERASERHEAD di David Lynch (1977)

2 Set

Mereghetti: Un uomo, stralunato e praticamente minorato psichicamente, e la sua compagna hanno un figlio. La creatura è mostruosa ma l’uomo cerca di allevarla. L’allucinante trama è di fatto indescrivibile: quel che conta, in quest’opera prima di Lynch, sono le scene surreali e gli incubi, che si inseguono senza soluzione di continuità con una realtà possibile. Le figure di contorno (memorabile l’uomo dei polli meccanici) aggiungono, se possibile, ancor più angoscia. Lynch, che ha girato in forma semiamatoriale e in un bellissimo e molto contrastato bianco e nero, lascia intravedere le doti di grande regista che confermerà nelle opere successive.

Morandini: Definito dal regista (cui costò 4 anni di lavoro e poche migliaia di dollari) “un sogno di cose oscure e inquietanti“. Un incubo popolato di incubi: il giovane Henry dai capelli ritti a presbitero; l’epilettica Mary che partorisce un mostriciattolo con la testa di un coniglio scuoiato; un teatrino tra gli elementi di un radiatore; la testa di Henry che si stacca dal corpo ed è portata in una fabbrica per farne gommini per cancellare; la testa del neonato che galleggia nell’aria… In bilico tra espressionismo e surrealismo, è un microcosmo formale autonomo sotto il segno della sterilità e della corruzione che evita simbolismi, allegorie, interpretazioni psicoanalitiche e ispira una sorta di angoscia metafisica e di paura ripugnante. Il linguaggio è classico, ma Lynch ne fa un uso aberrante nella dilatazione dei tempi e dei suoni. Straordinario, ingombrante, intollerabile, divenne un film di culto nei cinema di mezzanotte.

DAYS OF HEAVEN di Terrence Malick (1978)

5 Giu

Mereghetti: Secondo film di Malick, autore anche della sceneggiatura: lo stesso senso del paesaggio e della fatalità di La rabbia giovane, con appena un’ombra di manierismo. La sorellina di Bill fa da narratrice della storia e avvolge gli eventi di un tono distante e favoloso. Il cinema di Malick, coi suoi spazi sconfinati e il suo gusto dei dettagli, la sua sospensione fra la cronaca minuziosa e la trasfigurazione fantastica, non assomiglia a quello di nessun altro e i suoi personaggi disperati e indifesi, restano impressi nella memoria. La fotografia di Nestor Almendros in 70mm viene irrimediabilmente penalizzata in televisione. La colonna sonora è di Morricone, gli assoli di chitarra di Leo Kottke.

 

ROCCO e I SUOI FRATELLI di Luchino Visconti

1 Giu

Mereghetti: Il film mette a confronto una storia di miseria meridionale con la civiltà occidentale del Nord, vista nei suoi due aspetti più forti: fabbrica e coscienza proletaria per alcuni, marginalità e autodistruzione per altri. Il regista milanese racconta la sua città con gli occhi degli emigrati (gelida, ostile, respingente) e ne fa il teatro di passioni irrefrenabili e arcaiche, tornando ancora una volta al tema portante della sua cinematografia: la deflagrazione dell’istituzione familiare, coerentemente a una scelta stilistica che gli fa prediligere la descrizione dei travagliati sentimenti dei protagonisti alla morale delle soluzioni possibili.

Sospeso tra mito e storia, Rocco e i suoi fratelli è un capolavoro con innumerevoli influssi letterari, ma sono soprattutto avvertibili le influenze di Mann e Dostoevskij (la crisi di un gruppo di famiglia, il contrasto tra un Bene e un Male assoluti), legati tra loro da una struttura narrativa che s’ispira (come quasi sempre in Visconti) al melodramma. Nadia è una sorta di Carmen moderna e la sua morte all’Idroscalo è uno dei momenti più toccanti e indimenticabili del nostro cinema (e non solo). Cast tutto eccellente, montaggio di Mario Serandrei, splendido bianco e nero di Giuseppe Rotunno, colonna sonora di Nino Rota. La censura si scagliò contro il film, costringendo i proiezionisti ad annerire la scena dell’Idroscalo.

TIREZ SUR LE PIANISTE di Francois Truffaut

23 Mag

Mereghetti: Opera seconda di Truffaut, tratta dal romanzo noir Sparate sul pianista di David Goodis. In omaggio al cinema americano di serie B tanto amato dal regista, un pastiche di vari generi dove l’azione poliziesca è affidata alle immagini, mentre ai dialoghi è riservato l’aspetto mélo. Destinato a un pubblico di cinefili, ma godibile da tutti (“col Pianiste, vorrei far piangere le donne e ridere gli uomini“), all’epoca ottenne scarso successo, confermando l’opinione corrente secondo la quale i registi della Nouvelle Vague “riescono nel primo film perché raccontano la loro vita, ma si rompono le ossa sul secondo perché non sono professionisti” (P. Billard). Rivisto a distanza si conferma invece come uno dei film chiave della nuova ondata francese. Notevole l’uso dei personaggi e dell’ambiente, con un effetto d’insieme quasi paradossale: quanto più Truffaut insiste narrativamente sui generi, tanto più ottiene risultati realistici nella messinscena. Grande l’interpretazione di Aznavour che si esibisce nel locale dove suona anche Boby Lapointe.

BITTER VICTORY di Nicholas Ray (1957)

22 Mag

Film TV & Mereghetti: Durante la Seconda Guerra Mondiale a due ufficiali inglesi, il codardo Brand e il valoroso Leith, viene affidata una pericolosa missione al Cairo. Durante il ritorno, Brand fa di tutto per eliminare l’altro, di cui è anche geloso. Tratto dal libro di René Hardy (anche co-sceneggiatore), “Vittoria amara” è un melodramma bellico diretto con classe dal più moderno tra i registi americani classici. Bellissime le ambientazioni, in parte realizzate negli studi Victorine di Nizza (quelli di “Effetto notte‘). Malgrado le ottime interpretazioni, il film ebbe una pessima accoglienza, a parte le lodi di Jean-Luc Godard: “Come il sole, Vittoria amara vi farà chiudere gli occhi. La verità acceca.

THE LAST TEMPTATION OF CHRIST di Martin Scorsese (1988)

20 Mag

Mereghetti: La tentazione è quella che il Messia vive sulla croce, quando inn un’allucinazione si vede scendere a far l’amore con Maria Maddalena e negarsi al sacrificio per una vita normale e serena, circondato dai figli e segnato dal tradimento del suo compito. Film scandalo, tratto dall’omonimo romanzo di Nikos Kazantzakis (sceneggiato da Paul Schrader) e linciato a scatola chiusa dal fanatismo cattolico, segna il coronamento di un progetto lungamente covato. Scorsese presenta un Cristo atipico che, lontano dall’agiografia come dalle facili letture rivoluzionarie, vive dei rovelli e della poetica del regista: il retaggio della religiosità italoamericana di Brooklyn, la cultura rock, l’amore per il cinema, la costante (in tutti i suoi precedenti personaggi) di un tormentato rapporto con il proprio destino. Tutto ciò nel contesto di un film visionario che non concede nulla all’allettamento estetico dello spettatore. Ottima la musica dalle sonorità africane di Peter Gabriel. Il regista Irvin Kershner interpreta Zebedeo.

THE MAN WHO WASN’T THERE di Joel & Ethan Coen

2 Mag

dal Mereghetti       

               

(…) anche a Crane il destino riserverà una tragica fine. Amara e disincantata riflessione sul ruolo dell’individuo nella società, sceneggiata dai due fratelli e girata in bianco e nero ora pittorico, ora espressionista (la bellissima fotografia è di Roger Deakins) che rimanda ai film di Siodmak e Wilder e ai romanzi di James Cain (Nirdlinger, il nome dei grandi magazzini è una citazione da La morte paga doppio). Barbiere taciturno e marito disilluso, presenza insignificante (“che non c’era” come dice il titolo), Crane cerca di ribaltare questa situazione ma è condannato al fallimento, perché incapace di controllare l’effetto delle proprie azioni; anche se il colpo di scena finale rischia di assomigliare a un involontario e tragico “riscatto” e non a un coerente sberleffo del destino. Dietro lo pseudonimo di Roderick Jaynes, titolare del montaggio, si nascondono gli stessi Coen. Esiste una versione a colori, pretesa dal produttore per il mercato homevideo e televisivo negli Stati Uniti.

DER BLAUE ENGEL di Josef von Sternberg (1930)

16 Apr

dal DVD edito da Ermitage Cinema: Un professore di liceo viene a sapere che i suoi allievi frequentano un locale equivoco, l’Angelo Azzurro, dove si esibisce una compagnia di artisti di varietà, tra cui la conturbante e cinica ballerina Lola Lola. Una sera si reca nel locale per sorprendere gli studenti… Il film impose la Dietrich all’attenzione internazionale e creò il mito della diva peccaminosa, capace di impersonare il torbido avvento dei tempi nuovi che decretavano la fine del decoro borghese. Il merito, oltre che del soggetto tratto da un romanzo di Heinrich Mann, è di von Sternberg che seppe trattare il volto, la figura e le lunghe gambe dell’attrice come un paesaggio, rendendo immortale la scena della canzone cantata dalla Dietrich a cavalcioni di una sedia.

Mereghetti: (…) la Dietrich è però limitata da un personaggio abbastanza convenzionale che solo la sua sensualità riesce a far dimenticare. Molto più composita la prova di Emil Jannings che nel descrivere il decadimento morale di un uomo tocca, nella scene finali, i vertici delle sue grandi interpretazioni mute.

Film TV: Uno dei film più famosi della storia del cinema, nonché pietra miliare nell’edificazione della leggenda personale di Marlene Dietrich. Vi si respira un erotismo vicino a quello dei dipinti di Toulouse-Lautrec. Il quadro della provincia tedesca è dipinto senza pietà.

Farinotti (mymovies): Marlene Dietrich arrivava nel momento più opportuno, a rappresentare qualcosa di ben più vasto di una parte in un film. Catalizzava fisicamente quella tendenza. Ne era, forse inconsapevolmente, una sorta di sintesi. Veniva da ruoli insignificanti e si trovò titolare di un personaggio, Lola Lola, che avrebbe costruito un precedente imprescindibile tramandato per decenni dalla stessa Dietrich e imitato con assoluta trasparenza. I grandi segni erano: cappello a cilindro, calze e giarrettiere nere, boa di piume. Di suo l’attrice ci mise una voce roca e profonda, una carnagione bianchissima di contrasto e due gambe notevoli.

Morandini: Capolavoro del primo cinema tedesco sonoro, trasformò in star una poco nota cantante e attrice, arricchì l’immaginario collettivo di un nuovo mito di donna fatale, non lontano dalla Lulu di Wedekind, segnò l’inizio del sodalizio von Sternberg-Dietrich, durato altri 7 film a Hollywood. Il turgido istrionismo masochistico di Emil Jannings s’oppone alla pura “apparenza” quasi grafica della Dietrich. Le memorabili canzoni sono di Frederick Hollander. Esiste una contemporanea versione inglese.