Morandini: Film di famiglia e diario intimo, comincia il 28 marzo 1994 (vittoria elettorale della destra berlusconiana), termina nell’agosto 1997 quando l’autore decide di tornare al cinema di finzione con un musical, e fa perno sul 18 aprile 1996 quando gli nasce il figlio Pietro, mentre, vinte le elezioni, il centrosinistra dell’Ulivo va al governo. È un film che dice e riferisce molto, insegna moltissimo, suggerisce poco, non racconta quasi mai. A differenza di Caro diario, il mix di privato e pubblico non è riuscito. Sul primo versante si limita a microesercizi autocritici di umorismo sulle fisime di padre attardato; sul secondo il resoconto è fiacco e smunto, se si tolgono pochi momenti (il corteo del 25 aprile 1994 a Milano sotto la pioggia, l’arrivo degli albanesi a Brindisi) e la bella invenzione del grande lenzuolo di ritagli di giornale. Ma sono lucciole nel grigiore. È un film regredito e regressivo, frutto di un blocco creativo dell’autore.
Film TV: Non c’entra, però c’entra. I dirigenti della nostra sinistra, quand’erano giovani nella FGCI, interrompevano tutto per guardare Fonzie in “Happy Days“. Cosa c’entra con la loro formazione politica? Non c’entra. Però, dice Nanni Moretti con un sorriso appena accennato, c’entra. Nulla c’entra e tutto c’entra (dalle copertine dell’Espresso alla televisione), in quello che siamo o siamo diventati. Dove, per una volta, una grande vittoria privata (diventare genitori) può corrispondere a un’ipotesi di vittoria pubblica. Film in souplesse, dove i dubbi, i tentennamenti, le ansie di un autore-genitore-cittadino hanno preso il posto delle rabbie urlate e del dolore sordo di “Palombella rossa” e “Caro diario“.