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BLUE JASMINE di Woody Allen

7 Mar

Il dramma di una vita allo sbando di Chiara Bruno

Tutte le venature del blu braccano le pupille contratte di Cate Blanchett, signora elegante con corollario anacronistico di valigie Vuitton e donna perduta dentro al loop ipnotico-sedativo della canzone Blue Moon. Sulle note che l’avevano sedotta legandola a un Alec Baldwin ricco farfallone disonesto, ora canta una ninna nanna di Xanax e Martini: la veglia funebre di un’ex ragazza di grandi speranze e il risveglio di un autore, Allen, dalla cartolina compiacente come dal patchwork discontinuo.

Bellissima statuina upper class fracassata dall’impatto con la crisi matrimoniale finanziaria esistenziale, Jasmine fa la conta dei pezzi mentre viaggia in business class da New York a San Francisco per atterrare senza paracadute emotivo nella vita modesta e tiepidamente appagante della sorellastra Sally Hawkins: se la felicità porta fortuna, Cate/Jasmine conosce solo la miseria isterica dell’insoddisfazione e l’elettrica eccitazione effimera della bugia.

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Durante i 90 minuti che ci separano dalla visione più angosciante, cruda e realistica del fallimento (esterno giorno, una donna seduta su una panchina con la disperazione negli occhi), Allen ci porta a fare un giro nel disastro. Una sbirciata tragicomica che diventa incursione atroce e definitiva dentro la testa di Jasmine, la nostra antieroina scollata dalla realtà e percorsa da lampi di folle rilancio (decide di studiare arredamento d’interni su internet senza possedere alcuna conoscenza informatica, affonda precarie radici in una nuova agiata vita con l’ignaro Peter Sarsgaard). Non basta più che funzioni, nonostante Jasmine si aggrappi all’innocua sbandata della sorella – sedotta e abbandonata senza troppi giri di valzer cerebrali dall’ingegnere del suono Louis C.K. – per legittimare il suo autoassolutorio incoraggiamento a cercare “di meglio”. Nessun espediente narrativo rimetterà Jasmine nella carreggiata della commedia pura, nessuna porta scorrevole le lascerà respirare lo spiraglio di un alleggerimento. Puro e semplice dramma di una vita allo sbando, per quanto mirabilmente complicato dall’intreccio alleniano di caratteri: scritti in punta di penna brillante, i comprimari sono volti e corpi aderentissimi alle inclinazioni umane di fronte a baratri trascurabili o fagocitanti.

da FilmTV n. 49/2013

BLUE JASMINE di Woody Allen (2013)

25 Feb

Film TV: Dopo aver visto la sua vita distrutta e il matrimonio con il ricco uomo d’affari Hal andare incontro a guai seri, Jasmine lascia la sua mondana e raffinata New York per trasferirsi a San Francisco. Stabilendosi nel piccolo appartamento della sorella Ginger, Jasmine tenterà di fare ordine nella sua esistenza. Puro e semplice dramma di una vita allo sbando, per quanto mirabilmente complicato dall’intreccio alleniano di caratteri: scritti in punta di penna brillante, i comprimari sono volti e corpi aderentissimi alle inclinazioni umane di fronte a baratri trascurabili o fagocitanti. Dentro l’intorno sapido, il blu agghiacciante della splendida decadente alienata Cate Blanchett, a ricordarci che Blue Jasmine è (anche) un suo film.

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MIDNIGHT IN PARIS – Woody Allen

23 Ott

Un sogno in una notte di mezzo autunno parigino di Roy Menarini

Le trasferte del regista newyorkese appaiono non solo redditizie, ma anche molto intelligenti. Un esito del tutto meritato. Sgombriamo infatti il campo dalla noiosa questione del pro o contro Allen, e dagli schieramenti che militano rispettivamente nella squadra del “Woody è da tempo un pensionato” e “Woody è di nuovo lui”. Negare una capacità di metamorfosi al regista che più di molti altri ha sperimentato generi, formati, epoche, contesti produttivi, formule narrative, appare semplicemente sciocco e presuntuoso. Non si capisce bene il motivo per il quale Allen venga criticato a causa della frequente presenza di intellettuali e scrittori nel suo cinema. Se ciò fosse credibile o anche solo legittimo, dovremmo immediatamente lamentarci di tutte le filmografie di registi affezionati ai propri personaggi fissi, dai cowboy “sempre uguali” di Budd Boetticher agli operai di Robert Guédiguian. Non nominiamo a caso registi tra loro molto diversi, e ancor meno un cineasta della tarda classicità hollywoodiana come Boetticher. Il modo giusto di guardare al cinema recente di Allen, infatti, è proprio quello dell’artigianato, del regista che sforna un film dietro l’altro, ovunque si trovi, con una professionalità e una limpidezza di esecuzione straordinarie. Proprio quel che si amava nei registi, anche minori, di Hollywood, e che conferma in Woody una passione smodata per il sistema classico (nascosta sotto i costumi dell’amore per il cinema europeo).


Midnight in Paris è dunque un capolavoro alla Minnelli, un sogno in una notte di mezzo autunno parigino, un film che si esalta ed esplode proprio se lo amiamo non Opera del grande Autore Venerato, bensì come ennesima, struggente miniatura di un professional che mantiene una sorta di genialità diffusa su tutto il suo cinema. Dentro quest’ultimo film, poi, si snoda la consueta capacità alleniana di far credere una cosa e raccontarne un’altra. Barcellona e Parigi non sono guardate con occhio stereotipato da Allen, bensì dai suoi personaggi, non a caso turisti anche in Vicky Cristina Barcelona; il suo protagonista non è l’alter ego di Woody, è la vittima di un fraintendimento intellettuale; i Picasso, Hemingway, Steinbeck, Fitzgerald, Dalì, Bunuel che incontra nella Parigi fatata degli anni Venti non sono i maestri dell’influenza, ma le icone di cui liberarsi per potere vivere (e fare cinema) nel presente.
Si tratta di botole narrative, di false piste, di geniali inganni per far credere di raccontare la solita storia di indecisione tra arte/vita, raccontare e invece una volta di più che l’angoscia dell’influenza va estesa a tutte le epoche e a tutti i miti artistici. Anche a Woody Allen, che sa di essere ormai un classico, sebbene la sua comicità ebraica si basi proprio sulla inadeguatezza nei confronti della tradizione. Chapeau.

 

da MyMovies

STARDUST MEMORIES di Woody Allen (1980)

12 Nov

Mereghetti: Un regista in crisi trascorre, tra ricordi e problemi sentimentali, un weekend all’hotel Stardust di Long Island. Una citazione dell’incubo di 8 e mezzo, apre il più supponente dei film di Allen, narcisisticamente compiaciuto nel mostrare gli inconvenienti del successo. Difficile dare credito ai suoi tormenti o sorridere per le citazioni dei suoi maestri. Un fallimento anche al botteghino.

Film TV: Sandy Bates, regista-attore di film comici, è ospite per un weekend nel vecchio Stardust Hotel, nel New Jersey. Qui partecipa a un dibattito col pubblico che ha visto uno dei suoi film, ma questa è anche l’occasione per un confronto sentimentale con tre donne, una del suo passato, quella del presente e quella di un possibile futuro. Bates si porrà domande sulla vita e sul valore di questa. Allen tenta un personale “Otto e mezzo“, ricco di humour perfido, di divagazioni fantastiche, di aneliti “filosofici” (di una filosofia alleniana, ovviamente). Un tonfo al botteghino in America, ma la classe dell’autore c’è, eccome.

Morandini: Ritratto di un attore-regista di commedie un po’ nevrotico e molto depresso in crisi sentimentale e professionale (i produttori stanno montando il suo primo film drammatico in modo da farlo sembrare una commedia). È forse il film di Woody Allen più bistrattato dai critici e accolto male dal pubblico, almeno negli USA, sia con l’accusa di aver imitato 8 1/2 di Fellini sia perché il personaggio centrale del regista fu identificato con l’autore, non tenendo conto, come dice un altro personaggio del film, che nella comicità c’è, quasi sempre, una componente di ostilità. Ha un solo grande difetto: un eccesso di intelligenza, dilapidata più che organizzata. Ma esistono sbagli di talento che valgono più di certe riuscite della mediocrità. Cammeo di Sharon Stone. Musica: Dick Hyman.

EDJT Movies ep.13 – The purple rose of Cairo

7 Mag

ALICE di Woody Allen (1990)

24 Mar

Morandini: Moglie e madre di due bambini scopre il vuoto della propria esistenza, sbanda per un sassofonista e, grazie all’incontro con un saggio agopunturista cinese, è introdotta nel paese delle meraviglie. Pur nella gravità dei temi, è una commedia a corrente alternata con incursioni nel magico (un volo alla Superman, l’apparizione di una Musa, una pozione che rende invisibili e un’altra che innesca l’amore) e un’insolita vena di misticismo che passa per Madre Teresa di Calcutta e approda a un finale quasi costernante nel suo moralismo. Undicesimo film alleniano di Mia Farrow che ha troppo spazio al fianco di personaggi sbiaditi. Luci e colori del mago Carlo Di Palma.

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Film TV: Alice ha quarant’anni, due figli, un marito gentile e una bella casa a New York. Ciononostante è insoddisfatta della vita che conduce: al punto di cercare amore in un rapporto extraconiugale. Un medico cinese presso cui è in cura le fornisce un’erba che rende invisibili… Allen, sempre più occhieggiante al cinema europeo, si dedica questa volta al racconto morale; è sempre un narratore di classe ma qui un pizzico troppo pretenzioso.

THE PURPLE ROSE OF CAIRO di Woody Allen (1985)

31 Dic

Film TV: Durante la grande depressione degli anni Trenta, Cecilia, sposata a un ottuso maschilista prepotente, trova consolazione alla sua misera esistenza lasciandosi affascinare dai film a cui assiste. Allen in uno dei suoi vertici registici: un divertito e divertente omaggio al cinema, una deliziosa delicatezza di racconto, uno humour finissimo intriso di sottile malinconia. Un’opera magistrale, in cui l’omaggio al cinema del passato non è disgiunta dall’amarezza della sconfitta di personaggi piccoli e perdenti.

Morandini: Tredicesimo film di Allen, il secondo (dopo Interiors) senza Allen attore. Fondato sul principio dell’attraversamento dalla realtà alla finzione e viceversa (ripreso da Keaton di Sherlock jr., 1924), è un film perfetto perché ha una trasparenza e una leggerezza che esimono da ogni sforzo d’interpretazione tanto incantevole è l’armonia tra la forma, il fondo e le sue componenti (intelligenza, tenerezza, malinconia, umorismo, comicità, ironia).

Mereghetti: Altro capitolo del discorso alleniano sulla vita, la filosofia, la cultura, lo spettacolo, la finzione, l’immaginario collettivo. Qui, più che nei film precedenti, la soluzione di continuità tra realtà e finzione è davvero inesistente. Regista e sceneggiatore, Allen, in modo magistrale, illustra e scardina il tradizionale rapporto schermo-spettatore. Una delle più ironiche e appassionate dichiarazioni d’amore per la settima arte e un raffinato esempio di cinema delle origini e sulle origini.