Morandini: Frammenti di un ventennio di vita di Howard Hughes (1905-76), erede di una famiglia di petrolieri, produttore a Hollywood e regista (2 film), aviatore, ideatore di aerei di avanguardia, proprietario della compagnia aerea TWA: tormentata lavorazione di Gli angeli dell’inferno (1927-30); amori con attrici (Jean Harlow, Katharine Hepburn, Ava Gardner, ecc.); scontri con la censura per Il mio corpo ti scalderà (1943); inchiesta parlamentare sui finanziamenti pubblici durante la guerra; accuse di corruzione; morte sfiorata in un incidente aereo nel ’46; l’affiorare delle crisi paranoiche e fobiche; l’autodifesa vincente nell’udienza del ’47. “C’è troppo Howard Hughes in Howard Hughes”, dice K. Hepburn e, senza volerlo, denuncia i limiti e gli eccessi del film. Il personaggio è sicuramente nelle corde di M. Scorsese e della sua poetica. Da faccia d’angelo a maschera del dolore, DiCaprio vi fa l’interpretazione della sua carriera. Ma non basta a farne un film riuscito: il suo punto debole è la sceneggiatura di John Logan (The Gladiator). Di questo personaggio misogino, visionario, autodistruttivo e paranoide le componenti principali sono il volo, il cinema, il denaro e le donne. D’accordo: è un’altra storia del sogno americano trasformata in incubo. Manca, però, un vero rapporto drammatico tra il piano pubblico e quello privato: gli aspetti più negativi di Hughes sono omessi o sorvolati. Le sequenze memorabili non mancano, ma nemmeno Scorsese riesce a ridare nuova vita a icone celebri come i divi degli anni ’30, riducendoli, tolta la Hepburn di C. Blanchett, a caricature, statuine o comparse.
Giancarlo Zappoli: Signore e signori Howard Hughes: produttore, appassionato di aviazione, affetto da disordine ossessivo-compulsivo. Sono queste tre caratteristiche che debbono avere stimolato Martin Scorsese ad affrontare il primo film biografico della sua carriera, inteso in senso classico e quindi escludendo Toro scatenato. Nell’ostinato giovane produttore di film che hanno fatto la storia del cinema come Angeli dell’inferno e Scarface, nell’esperto aeronautico capace di prevedere e di rischiare sul futuro dell’aviazione civile ha visto uno di quei personaggi capaci di ‘sporcarsi le mani’ per il raggiungimento di un obiettivo. Un ‘bravo ragazzo’ avido di potere e al contempo dotato di qualità, un ‘toro scatenato’ pronto a cadere ma anche a risorgere (come gli accadrà di fronte alla commissione senatoriale che lo accusa di corruzione e contro la quale ribalterà l’accusa). Ma è certo nell’ultima caratteristica del personaggio che Scorsese ha trovato il proprio fulcro. Non a caso la prima immagine che vediamo è quella di un preadolescente nudo che viene lavato accuratamente dalla madre con un sapone nero per preservarlo dalle malattie. Le ‘madri’ mafiose che preparano la salsa di pomodoro vengono sostituite da questa giovane donna che lascerà un segno indelebile in un figlio che si ritroverà, adulto, nuovamente nudo a combattere con le ossessioni che sono entrate nella sua pelle con la schiuma di quel sapone da cui non saprà mai separarsi. Ma queste ossessioni si accompagnano con forza visiva straordinaria ad altre. Una per tutte: il frantumarsi delle lampade incandescenti dei flash dei fotografi in una sequenza degna di Welles. Il tutto (ma c’è molto di più grazie anche al cast che vede svettare tra i coprotagonisti Cate Blanchett in un ruolo difficile come quello di restituirci senza limitarsi ad imitarla una donna del calibro di Katharine Hepburn) ripreso con un lavoro sui colori che ci offre una visione come quella che il pubblico degli anni 30/40 aveva del cinema. Per concludere non si può non dire di Leonardo DiCaprio. Superato il rischio di non poter più fare cinema perché incatenato ai ruoli alla Titanic o alla Romeo l’attore torna a farsi dirigere da Scorsese al quale offre in guizzi improvvisi il trascorrere dello sguardo dalla più docile seduttività al lampo di follia sofferente. Grazie a lui Scorsese ha potuto tornare a far visita al Travis di Taxi Driver. Ma questa volta è ai comandi di un aereo che non riesce a staccarlo dal terreno del suo mal di vivere. La rivisitazione del ‘sogno americano’ ha un nuovo capitolo.
Film TV: Un atto d’amore di strabiliante perizia tecnica; talmente tanta che il gelo della ricostruzione filologica spegne le fiamme delle passioni. A differenza di qualsiasi altro film di Scorsese, non ha cuore, non ha dolore. Ma l’energia nervosa su cui si costruisce non riecheggia nella pancia e nell’anima.
Fabio Ferzetti: Gli piacevano il volo, il cinema e le donne, non necessariamente in quest’ordine. Amava le imprese impossibili, le sfide alle convenzioni, la ricerca di tutto ciò che era nuovo e pericoloso. Ma il volo era il piacere perfetto, quello che riassumeva tutti gli altri. Perfetto e solitario. Piacere alle donne non era un problema. Alto un metro e 93, ricchissimo, atletico, Howard Hughes era abbastanza stravagante e ostinato per sedurre chiunque, anche se mai troppo a lungo. Ma negli aerei non era secondo a nessuno. Grande pilota e progettista di velivoli rivoluzionari, fondò compagnie aeree, comprò la Twa, stabilì diversi record in campo aeronautico e soprattutto costruì e pilotò due apparecchi destinati a fare epoca. Il primo per la velocità inaudita (come disse il grande regista Howard Hawks, che se ne intendeva: «Niente era omologato in quell’apparecchio. Nessun altro avrebbe saputo cosa diavolo fare»). Il secondo perché era lungo quanto un campo da foootball ma volò per un miglio appena, naturalmente pilotato da Hughes. Poi tornò al suolo per restarci ed essere beffardamente ricordato come “The Spruce Goose”, l’oca di legno.
Ricostruito in grandezza naturale dallo scenografo Dante Ferretti, l’HK-1, alias Spruce Goose , troneggia nel film di Scorsese sul giovane Hug hes, The Aviator. Ma se guardiamo all’erratica e scintillante carriera cinematografica del pilota-regista-produttore, sono altri i voli che gli avrebbero spalancato le porte di Hollywood. E pensiamo naturalmente a Hell’s Angels , Gli angeli dell’inferno, leggendario film d’aviazione a sua volta celebrato da Scorsese. Messo in cantiere nel 1927, quando Hughes non aveva ancora 23 anni, Hell’s Angels fu una delle imprese più folli che il cinema ricordi. A immagine e misura del suo regista e produttore. Dopo quasi quattro anni di riprese infatti era arrivato il sonoro e Hughes dovette cercare un’americana per sostituire la protagonista Greta Nissen, dal pesante accento svedese. Trovò un’oscura ma provocante biondina di nome Jean Harlow.
Il resto, come si dice, è storia. La Harlow era così esplosiva che per lei fu coniata l’espressione “sex-appeal”. Le scene aeree magnifiche e così realistiche da costare la vita a quattro stuntmen, anche se Hughes le girò in prima persona. Così come fu sempre lui a sborsare i quattro milioni di dollari necessari a ultimare l’impresa (all’epoca un film costava circa 75.000 dollari). Nel frattempo Hughes mise in cantiere un altro film epocale, il magnifico e violentissimo Scarface , ispirato ad Al Capone. E ci volle tutto il suo peso e la sua astuzia per sostenere una lunga battaglia contro la censura. Ma stavolta il regista era un altro Howard, Howard Hawks. Prima boicottato. Poi assunto. Nasceva lo Hughes seconda maniera.
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