Mauro Gervasini: Un viaggio al termine della follia e un viaggio nel cinema di David Cronenberg. La riflessione su un altrove falso (falso?) che non è su Marte, o sottoterra, o in mare, o incastrato in una tv che fabbrica consenso, ma è dentro di noi. (…) Con i suoi reticolati strani che diventano, in questo caso, la materia giallognola della pellicola: ragnatele, spaccature del vetro, carte da parati che sembrano fatte di catarro, tubi che attorcigliano; in un contesto che tende all’astrazione.
Morandini: Dal romanzo (1990) di Patrick McGrath che l’ha adattato col regista. Il sedicesimo lungometraggio di Cronenberg esplora gli anfratti umidi e vischiosi di una mente sconvolta, quella di un bambino che, dopo aver sviluppato un affetto morboso per la madre – parallelo alla ripugnanza per la figura paterna – è sprofondato in un infantile senso di colpa rimosso o trasfigurato. La sagacia registica è evidente: memorabile l’interpretazione “ragnesca” di Ralph Fiennes e notevole nella triplice parte Miranda Richardson; la cupa e claustrofobica ambientazione in interni (i muri, i fili) e in esterni (il gasometro, lo squallore periferico); gli agganci ai film precedenti e i rimandi letterari; l’allucinazione dello scrivere, anzi dell’essere scritti. Qualcosa, però, non funziona e frena l’empatia della spettatore. Non è soltanto il primario canovaccio edipico da manuale di psicanalisi, cioè l’incompatibilità tra sfera sessuale e sfera materna. È qualcosa che sta nei rapporti soltanto in parte risolti tra letteratura e cinema, e forse nello stesso romanzo di McGrath.
Film TV: Sarebbe stato impossibile trovare un regista più adatto di Cronenberg per narrare il solitario viaggio nell’incubo di Spider, per riuscire a rendere gli impercettibili confini tra i suoi mondi, per fargli rivivere da spettatore ciò che ha già vissuto da bambino (o forse no…). L’autore canadese è un maestro nella materializzazione di un’atmosfera che si fa racconto, sperdimento interiore, e nella frantumazione concentrica dei punti di vista, tanto da affogarci nella stessa incertezza di prospettiva del protagonista (uno straordinario Fiennes, la cui performance può essere valutata appieno solo nella versione originale), nella sua memoria e nella sua coscienza deragliate.Un film di “percezione” più che di “narrazione”; basato non su un plot, ma su una trama che pare modellata da Escher. Sentire i borbottii di Spider, intuire gli scarabocchi tracciati sui suoi quaderni, annusare l’aria che lui annusa. Nulla ha senso se non l’asfissiante odore di gas.