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8 1/2 di Federico Fellini (1963)

16 Nov

Morandini: In crisi esistenziale e creativa, alle prese con un film da fare, un regista fa una sorta di mobilitazione generale di emozioni, affetti, ricordi, sogni, complessi, bugie. “Un misto tra una sgangherata seduta psicanalitica e un disordinato esame di coscienza in un’atmosfera da limbo” (Fellini). “La masturbazione di un genio” (D. Buzzati). “Una tappa avanzata nella storia della forma romanzesca” (A. Arbasino). “Una costruzione in abisso a tre stadi” (C. Metz). (…) Uno dei massimi contributi a quel rinnovamento dei modi espressivi e alla rottura della drammaturgia tradizionale che ebbero luogo nel cinema a cavallo tra gli anni ’50 e i ’60, rinnovamento che Fellini aveva già cominciato con La dolce vita. Personaggi memorabili e sequenze d’antologia. Il suo vero contenuto è la fitta trama dei rapporti di Guido con la moglie e l’amante, con l’ambiente di lavoro e gli estranei, con i guru della Chiesa e della Critica, col passato e l’avvenire, con sé stesso. “L’enfer c’est les autres”, aveva detto Sartre. Fellini ribalta l’affermazione: la vita – e il cinema – sono gli altri, i vivi e i morti, gli esseri reali e le creature della fantasia. Bisogna accettarli tutti con amore, gratitudine, solidarietà.

Film TV: Una complessa autoanalisi del profondo, un discorso ironico e disperato sulla crisi dell’artista e sull’Italia del boom, che riesce ad assumere la suggestiva spettacolarità di un racconto apparentemente fantastico. Un film che ha raccolto premi in tutto il mondo (tra cui l’Oscar per i miglior film straniero e quello per i costumi di Piero Gherardi), fra i più celebri del regista e nell’intera storia del cinema. La sceneggiatura è scritto con Tullio Pinelli, Ennio Flaiano, Brunello Rondi. Scene indimaneticabili: il sogno iniziale di volo, la Saraghina, “Asa nisi masa“, e ovviamente la passerella finale).

LA STRADA di Federico Fellini

14 Giu

Federico Fellini dal sito della Cineteca di Bologna:

All’inizio della Strada c’era solo un sentimento confuso del film, una nota sospesa che mi procurava soltanto un’indefinita malinconia, un senso di colpa diffuso come un’ombra; vago e struggente, fatto di ricordi e di presagi. Questo sentimento suggeriva con insistenza il viaggio di due creature che stanno insieme fatalmente, senza sapere perché”.

I CLOWNS di Federico Fellini (1971)

26 Mag

Film TV: Fellini segue alcuni clown e ricostruisce il magico mondo del circo a partire da quando, bambino, entrò per la prima volta sotto un tendone restandone affascinato. Alcuni personaggi della sua infanzia riminese sono a loro volta assimilabili a figure clownesche: la suora nana, il capostazione bersagliato dai lazzi degli studenti, i vetturini della stazione… Con un inconsueto taglio documentaristico, ma senza rinunciare alla sua consueta immaginosità, Fellini crea sullo schermo una metafora della vita attraverso la vita del circo e dei suoi interpreti. Sotto la guida di Tristan Rémy, il film presenta alcuni esponenti di famose famiglie circensi: gli italiani Orfei, i francesi Annie e Gustav Fratellini, ultimi discendenti della celebre dinastia, e poi, ancora: Fanfulla, Père Loriot, Alex e Bario…

IL BIDONE di Federico Fellini (1955)

25 Mar

Morandini: Augusto, anziano bidonista che sente la miseria e l’abiezione del suo mestiere truffaldino. Dopo I vitelloni e La strada, Fellini ne riprende molti motivi tematici (solitudine, bisogno di comunicazione e di amore, desiderio di salvazione, la Grazia) e stilistici (passeggiate notturne, giostre di periferia, paesaggi dell’Appennino). È il più cupo e disperato di quest’ideale trilogia, e il meno riuscito a livello strutturale per un’incertezza tra il racconto di ambiente picaresco e la concentrazione drammatica su Augusto che punta sul tragico e scivola nel patetico. Memorabili almeno due sequenze: la festa di Capodanno nella casa del bidonista ricco e la truffa a danno dei baraccati, coincisa e feroce quanto l’altra è insistita e sarcastica. Scritto con Flaiano e Pinelli. Dopo le sfavorevoli accoglienze alla Mostra di Venezia, Fellini lo rimontò con M. Serandrei, riducendolo di 20´ e mutandone radicalmente il ritmo. Restaurato dalla Cineteca di Bologna nel 2002 in una versione quasi identica a quella “veneziana”.

Farinotti (mymovies): I personaggi principali son tre: Augusto, Roberto e Picasso. Sono truffatori da quattro soldi. Augusto ha una figlia deliziosa che non vede mai, Picasso una moglie sottomessa e disperata. Roberto, assolutamente cinico, è forse il peggiore di tutti, pensa solo a imbrogliare e alle donne. Fellini era al sesto film e aveva trovato la sua identità riconoscibilissima. Pochi anni dopo, con La Dolce vita avrebbe fatto l’ultimo salto di qualità. Ma la poesia c’è tutta, e ci sono i contenuti ancora robusti dell’età migliore, quella dell’energia. Augusto porta sua figlia al cinema, è contento, possiede un valore che aveva persino dimenticato, ma al cinema viene riconosciuto da qualcuno che aveva truffato, e finisce in prigione. E la figlia assiste a tutto. Inserito temporalmente fra Le notti di Cabiria e La strada, storie di squisito mondo e di fantasia felliniana, il film è una sorta di intervallo di realismo, ultimo richiamo in questo senso. Amaro e vedibile a posteriori, va rivalutato rispetto a una critica che lo ha inteso come “opera minore”.

Film TV: Augusto è un truffatore di modesto calibro che agisce in società con Roberto e Picasso… Un anno dopo “La strada“, Fellini realizza un film meno “poetico”, più aspro, ma con un fondo non meno religioso; è uno dei film meno amati del regista, ma oggi è assolutamente da rivalutare. Indimenticabile l’interpretazione di Broderick Crawford (che pare recitasse costantemente ubriaco), straziante il finale.

I VITELLONI di Federico Fellini

29 Gen

Perché faccio I vitelloni di Federico Fellini

Perché faccio I vitelloni? Dunque, io volevo realizzare La strada che mi sembra il mio film e quando l’avrò fatto potrò ubbidire a tutti gli ordini e a tutti i desideri, ma ho avuto un sacco d’intoppi. Strano, perché è un copione semplice che non dovrebbe spaventare alcun produttore.
Comunque, rimandato La strada a primavera, qualcosa bisognava ben fare, e allora mi è venuta la tentazione di giocare ancora uno scherzo a certi vecchi amici che avevo lasciato da anni nella provincia dove sono nato.
Era una piccola vigliaccheria, ma pensavo che loro, siccome anche se un po’ sfasati sono di pasta buona, non si sarebbero rifiutati di darmi una mano in un momento di difficoltà. Così da qualche giorno mi sono messo a raccontare quello che ricordavo delle loro avventure, le loro ambizioni, le piccole manie, il loro modo particolarissimo di passare il tempo.
Il guaio è che, tornato a frequentarli, mi sto accorgendo che passo anche io troppo volentieri il tempo al bigliardo o sulla spiaggia a guardare il mare d’inverno, o a cantare canzoncine oscene nel silenzio notturno delle antiche piazze.
E mi piacerebbe dimenticare tutti i miei impegni; e mi sembra che tanta gente del cinema che ho conosciuto più tardi, gente seria, indaffarata, importante; gente con cui ho legami di lavoro e anche di amicizia, mi sembra di non conoscerla più, di non ricordarla più, e che potrebbero guardarmi severamente, voltarmi le spalle, cacciarmi anche fuori con un nervoso schioccare di dita.
E allora, mentre ascolto i discorsi dei miei vitelloni («Ma tu, se venisse adesso Jane Russell e ti dicesse: dai, pianta tutto e vieni con me, ci andresti?» – «Ostia se ci andrei!») comincio a pensare con una punta di tristezza che, se vorrò continuare il mio lavoro, sarò costretto ancora una volta a tradirli, come ho fatto da ragazzo quella volta che una bella mattina ho preso il treno e me ne sono andato in città. Mi conforta solo il pensare che, quando sapranno della mia nuova fuga, non se la prenderanno troppo. Faranno qualche commento sbadato. «Se ne è tornato a Roma», diranno; «A fare che?» E quel pochino d’invidia che certamente proveranno, perché in fondo la città è il loro sogno segreto, ognuno se la terrà in corpo, tranne a sospirare forse più tardi, da soli, quando chiuso il caffè del commercio, a notte alta salgono in silenzio le scale di casa e si mettono a letto.

Da Cinema Nuovo, a. V, n. 83, 25 maggio 1956

I VITELLONI di Federico Fellini (1953)

29 Gen

Morandini: Sono cinque, in una cittadina romagnola dell’Adriatico, i giovanotti non ancora occupati, né ricchi né poveri, irresponsabili e velleitari figli di mamma. Che fanno? Piccoli divertimenti, piccole miserie, piccoli squallori, noia grande. Tra loro campeggia Alberto (Sordi), punto di fusione di violenza satirica, grottesco, patetismo. Fellini fa col suo film uno scanzonato omaggio, distaccato ma non troppo, alla Rimini della sua adolescenza, reinventata sul litorale tirrenico, vicino a Ostia. Franco Fabrizi è doppiato da Nino Manfredi e Leopoldo Trieste da Adolfo Geri.

Farinotti (mymovies): In una cittadina di mare che potrebbe essere Rimini, vivono cinque giovani: Moraldo, Alberto, Fausto, Leopoldo e Riccardo (Fellini, fratello del regista). Le loro sono piccole storie, secondo le possibilità offerte da un posto come quello. Come sempre Fellini si smarrisce e si spaventa davanti al tempo che scorre e che costringerà a crescere e a fare delle scelte. Perché non ci saranno scelte da fare. Più tardi il regista butterà tutto sulla fantasia, sull’impegno e la ricerca. Quando uscì il film parve ad alcuni semplicemente l’istantanea “realista” della provincia, ma c’era molto di più, c’era il mondo ricreato di un autore unico in quella pratica, con sequenze di poesia ben oltre il “realismo”, come la passeggiata “stanca” sulla spiaggia di tutti gli amici, o l’intero episodio del gruppo di avanspettacolo, un mondo per il quale Fellini ha sempre avuto un debole, e nel quale faceva rispecchiare, in grottesco, l’intera rappresentazione della vita.

Mereghetti: Il rimpianto del tempo perduto e lo spaccato affettuoso e critico al tempo stesso, di un mondo stagnante, in quello che è stato giudicato da molti il film più sincero di Fellini. Felicissima la vena narrativa, anche se vi sono già chiare anticipazioni del barocchismo dei flm futuri: si pensi alla fine del carnevale o alla tentata seduzione di Leopoldo sullo sfondo del mare in tempesta.

Film TV: Fausto, Riccardo, Alberto, Leopoldo e Moraldo, figli della piccola borghesia, sprecano la loro gioventù nell’ozio più completo e nel vagheggiare sogni irrealizzabili. Il regista conosce bene personaggi di questi perdigiorno: sono i suoi amici di Rimini, dai quali si è staccato per venire a Roma. Ora li descrive con occhio attento e con pungente ironia. Celebre la sequenza in cui Sordi sbeffeggia gli operai da un’automobile, che poi si ferma…

LA DOLCE VITA di Federico Fellini (1960)

17 Nov

Morandini: Viaggio attraverso il disgusto, cinegiornale e affresco di una Roma raccontata come una Babilonia precristiana, affascinante e turpe. Una materia da giornale in rotocalco trasfigurata in epica. Uno spartiacque nel cinema italiano, un film-cerniera nell’itinerario felliniano con la sua costruzione ad affresco, a blocchi narrativi e retrospettivamente un film storico che interpreta con acutezza un momento nella storia d’Italia. Dopo lo scandalo ecclesiastico e politico, un successo mondiale. Lanciò, anche a livello internazionale, il termine “paparazzo”.

Mauro Gervasini: (…) non è solo un film, ma è ormai un modo di dire, persino una categoria esistenziale. Poteva esserci maggior paradosso per il capolavoro di Fellini che quello di diventare “luogo comune” negando nel suo diffondersi il proprio significato? Eppure non crediamo che esista nel nostro cinema un film più disperato di questo, che oltretutto sembra parlarci sempre dell’oggi, di come siamo e sicuramente saremo. Ancor più disperato, se si pensa che nel 1961 fu campione di incassi della stagione, esattamente come NON succederebbe oggi. Marcello non è Federico, ma siamo noi, o almeno quelli di noi che riescono a percepire come dietro quel refrain “Dolce vita” ci sia un mondo effimero, molto amaro.

Film TV: Marcello, malgrado le proprie ambizioni di scrittore, si è adattato al ruolo di giornalista mondano. Conosce e frequenta così il mondo dorato che gravita attorno a via Veneto, ne assorbe la mentalità e ne copia i comportamenti. Anche la sua vita sentimentale è sregolata per le avventure occasionali che logorano il suo rapporto con Emma, la donna con cui vive. Nemmeno la tragedia dell’intellettuale Steiner lo scuote. Fellini confessa la propria crisi (che è la crisi di un’epoca) dando voce al suo fedelissimo alter ego Mastroianni, e guidandolo attraverso l’affresco di una città dipinta con lirico sconforto.

Mereghetti: (…) un affresco composito di un mondo senza più nessun punto di riferimento, un viaggio nella notte durante il sonno della ragione, attraverso una civiltà corrotta e putrescente nella quale tutto crolla di schianto, valori autentici e falsi miti, tradizioni secolari e convinzioni nate appena ieri. Cult movie anche all’estero.

LA STRADA di Federico Fellini (1954)

20 Set

Morandini: Parabola cristiana sul peccato, apologo sulla condizione umana in generale e della donna in particolare, è anche una picaresca escursione attraverso i paesaggi dell’Appennino centrale. Maschere più che personaggi veri di questa favola on the road, lo Zampanò di A. Quinn e la Gelsomina di G. Masina (faccia da clown, miscela di Harpo Marx, Chaplin e una bambola) divennero simboli. Scritto con E. Flaiano e T. Pinelli.

Mereghetti: Il film che fece conoscere Fellini al pubblico di tutto il mondo oggi sembra sopravvalutato e la sua poesia miserabilista e patetica suona un po’ facile. L’accento sincero e pudico con cui Fellini alla fine del neorealismo, ritrae personaggi che non rappresentano nulla se non il proprio mondo, continua comunque a colpire lo spettatore e bisogna essere delle pietre per non commuoversi. Splendida la prova dei tre protagonisti e una delle migliori colonne sonore di Nino Rota.