Esempio altissimo di opera visceralmente espressionista ed esistenzialista di Giulio Sangiorgio:
Lars von Trier mette in forma, nuovamente, dopo Antichrist, la sua melanconia: per Freud lutto eterno, impossibile da elaborare. Rivolto contro se stessi. E lo fa con un’opera che annuncia l’Apocalisse sin dalle prime inquadrature, tableaux vivants che sono un memento mori di impressionante forza pittorica, sulle note del Tristano e Isotta, un riassunto di ciò che accadrà. Ovvero un kammerspiel stilizzato, sfrontato e dolorosissimo, se si è disposti ad accettare l’idea di cinema dell’autore. Se non si chiede al cinema di adeguarsi alla propria visione, se gli si concede di dare fastidio. Perché i personaggi sono funzioni di un discorso prestabilito. Ma lo sono sempre. Qui semplicemente, lo sono sfacciatamente, sino all’autolesionismo. Perché qui non si vuole la giusta misura del realismo: l‘umanità straborda nel ridicolo, nel grottesco, nell’isteria.
È il quadro complessivo a pulsare, ciò che importa è il carattere affettivo del film. Perché c’è più verità nell’essere così oltre di queste figure che in una miriade di sceneggiature armoniose. Perché qui siamo in uno dei rari territori dove la consapevolezza del cinema contemporaneo (e dello stesso Von Trier) si dibatte, inesausta, in una esaltante sfida contro se stessa. Perché Melancholia travolge i limiti che si pone (il finale ineluttabile, il montaggio cubista, i personaggi caricaturali, l’abituale schema antiborghese). Perché questo è un esempio altissimo di opera visceralmente espressionista ed esistenzialista, che violenta l’ironia imperturbabile del Cinema Post Tutto e lotta per dare forma a un sentimento.
da Film TV n.42/2011