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THE SAVAGES di Tamara Jenkins (2007)

15 Nov

Film TV: Wendy Savage è un’aspirante drammaturga che vive a New York; Jon Savage è un professore ossessivo-compulsivo in un college di Buffalo. Riunitisi per accudire il padre che non è più in grado di badare a se stesso, i due fratelli devono fare i conti con i legami disfunzionali della loro famiglia. Tamara Jenkins ha trovato in questa storia di senilità, fratellanza, demenza, vita, arte, case di cura, convivenze e adulteri, un racconto capace di conquistare la critica americana. Non mancano in verità alcune lunghezze e il finale è forse eccessivamente consolatorio, ma Hoffman e la Linney incarnano con invidiabile aderenza lo squallore e l’idealismo, la simpatia e la cattiveria, dei due fratelli. Allo spegnersi dei titoli di coda sembrerà di averli conosciuti davvero.

Morandini: Jon e Wendy, fratello e sorella, vivacchiano a New York in uno stato di ordinaria non-felicità. Jon, docente di letteratura, da anni alle prese con un denso saggio su Brecht, vive con una polacca. Quando a lei scade il permesso di soggiorno, potrebbe sposarla, ma la lascia ripartire. Wendy scrive copioni teatrali che nessuno rappresenta né pubblica, campa con lavori precari e stratagemmi meschini e ha una relazione stracca con un uomo sposato. La loro vita ha uno scossone quando devono occuparsi del vecchio padre scorbutico, che non si è mai occupato di loro, in preda a demenza senile e senza casa. I film sulla vecchiaia – alcuni grandi – non hanno mai avuto successo di pubblico. È rimossa dentro di noi, forse, più che la morte. In questo film che pur è una commedia, amarissima, sugli orrori dei rapporti umani, la Jenkins mette una sequenza notevole – il viaggio in aereo di Wendy con il padre. La vecchiaia non era mai stata raccontata al cinema così impietosamente, ma senza cinismo: Senectus ipsa est morbus. Dialoghi affilati, due protagonisti in gara di bravura.

LIONS FOR LAMBS di Robert Redford (2007)

28 Set

FILM TV: Afghanistan: durante una missione, due ranger dell’esercito degli Stati Uniti risultano dispersi. La decisione di conquistare un punto strategico è in realtà stata presa dal senatore repubblicano Irving, che intende recuperare il consenso dell’opinione pubblica con un’intervista-fiume rilasciata alla giornalista Janine Roth…Il film di Redford sa gestire i paradossi del nostro pane quotidiano, sempre più impetuosi, e nel contempo recupera, celebrandolo, il dovere morale all’ideologia. Che può riguardare la patria o la coscienza: in ogni caso, un incitamento a non abbandonarsi (al lassismo). E non è una cosa di poco conto.

MORANDINI: Un senatore guerrafondaio, giovane e ambizioso, da Washington ha in mente una nuova offensiva in Afghanistan. Una nota giornalista, sua avversaria politica, in cerca di uno scoop accetta di intervistarlo. Un maturo professore si confronta con uno dei suoi studenti vivace sul piano intellettuale e disilluso su quello politico-sociale. Due soldati, un nero e un messicano, ex studenti del professore, soli e feriti durante l’offensiva, sono abbandonati in Afghanistan in territorio nemico. Le vicende finiscono per incrociarsi. Leoni per agnelli significa soldati coraggiosi per comandanti incapaci. Dopo 7 anni, Redford torna alla regia con un film anti-Bush ammirevole per la pacatezza, il coraggio, l’antimilitarismo, l’umanità. Film molto parlato (un trio di attori ammirevoli) che conferma l’impegno dell’autore, in autonomia da facile propaganda, complesso e lucidamente pessimista ma non senza speranza.

OKURIBITO di Yojiro Takita (2007)

29 Ago

Film TV: Daigo Kobayashi è un violoncellista la cui orchestra si è sciolta, lasciandolo senza lavoro. Stanco e privo di speranza, decide di fare ritorno insieme alla moglie alla sua città natale, con l’intento di ricominciare una nuova vita. La ottiene un incarico come nokanshi. Il suo lavoro consiste nel prendersi cura dei corpi delle persone decedute, pulendoli, sistemandoli e collocandoli nella loro bara, per accompagnarli nell’altro mondo nella miglior modo possibile. Ridere della morte è un esercizio liberatorio per dissacrare l’aura inesorabile che ammanta la nostra natura terrena; ben venga allora il tocco lieve e ironico di Departures, che infrange il tabù e fin dall’incipit fa dirompere nella solennità della cerimonia funebre la carica irriverente del grottesco. Non soltanto si ride, nel film straniero vincitore dell’Oscar nel 2009; Yojiro Takita si giostra fra tempi (e volti) strettamente comici e le ampie panoramiche del dolore e del rimpianto.

Morandini: Giovane violoncellista rimasto senza lavoro torna con la moglie nella città natia, nella casa della sua infanzia. Accetta un posto di cerimoniere funebre: lavare, vestire, truccare e sistemare i defunti nella bara. Film dolente e intenso nella sua analisi, particolarmente significativo per gli spettatori che in Occidente vivono in una cultura incline all’inutile rimozione della morte, spesso incapaci di darle il rispetto e l’onore che merita. Ha il suo culmine emotivo nella morte del padre, che aveva abbandonato il protagonista bambino. La commozione è sempre controllata, sublimata negli intermezzi musicali al violoncello. Fotografia: Takeshi Hanada. Musiche: Joe Hisaishi. Oscar 2008 per il miglior film straniero.

INTO THE WILD di Sean Penn (2007)

2 Ago

Film TV: La storia (vera) di Chris McCandless, un giovane americano che dopo essersi laureato con il massimo dei voti, lasciò tutto – casa, famiglia e amici – per avventurarsi senza soldi e risorse in un più che improvvisato viaggio attraverso gli Stati Uniti, finendo la sua personale e francescana odissea nel selvaggio Alaska, in un autobus abbandonato, condannato a sopravvivere con niente. Meraviglioso poema per immagini, riconcilia col piacere di un cinema tutto da guardare, ascoltare, introiettare. Guarda a temi e stilemi del libero cinema americano degli anni 70 – la comune hippy californiana, il percorso episodico alla Kerouac – cercando la verità nella via. Incurante del cronometro e del box office, Penn ha trovato nel protagonista Emile Hirsch, reincarnazione di River Phoenix, la figura cristologica che realizza perfettamente il suo neoumanesimo.

LA RAGAZZA DEL LAGO di Andrea Molaioli (2007)

26 Lug

Film TV: Il cadavere della bella Anna, giovane giocatrice di hockey, viene ritrovato nudo sulle rive di un lago della provincia friulana. Il caso viene affidato al commissario Giovanni Sanzio, afflitto da dubbi e da drammi personali e familiari… Molaioli parte da un romanzo della norvegese Karin Fossum e ne trae un noir “d’autore”: c’è qualche imperfezione, non tutti i nodi psicologici sono risolti, ma si respirano una freddezza e una tensione da poliziesco d’alta classe, con un occhio a Dürrenmatt e uno a Simenon.

Morandini: È un giallo dove le ragioni del delitto sono più forti del delitto stesso. Prodotto dalla benemerita Indigo per Medusa, è tratto dal romanzo Don’t Look Back (Lo sguardo di uno sconosciuto, 2003) della norvegese Karim Fossum, molto tradotta. Con finezza l’ha adattato Sandro Petraglia. Alla Settimana della Critica di Venezia 2007 (2 premi) quest’opera prima fu sbrigata da molti come un poliziesco ben fatto e nulla più (come se fosse facile farlo). Finale debole? Conta il percorso dell’indagine più che lo scioglimento. E i personaggi: oltre al commissario di un infallibile Servillo sotto tono, molti di loro hanno un retroterra di dolore o un problema. Bastano due o tre brevi scene per disegnarli. Petraglia e Molaioli preferiscono suggerire più che sottolineare o denunciare. Come fanno con l’ambiente di provincia. Forse sanno che il legno storto della storia dell’umanità paesana non è peggiore di quella metropolitana. Soltanto diversa. Musiche di Teho Teardo. 10 David di Donatello tra cui quelli per il miglior film e il miglior esordio. Esagerati.

SOUS LES BOMBS di Philippe Aractingi (2007)

21 Giu

Film TV: Zeina è una giovane donna di origine libanese alla disperata ricerca del figlio Karim. Nel suo viaggio all’interno del paese ridotto a un cumulo di macerie incontra Tony, l’unico conducente di taxi disposto ad accompagnarla. Il regista franco-libanese Philippe Aractingi ci consegna un piccolo capolavoro. Stiamo parlando di film, di finzione, di un perfetto congegno narrativo in cui struttura, macchina da presa e attori si fondono completamente, abbandonandosi al mistero di un linguaggio composito come quello del cinema. Aggiungete uno sfondo completamente reale, e farete fatica a sollevarvi dalla poltrona a proiezione terminata.

Morandini: Zeina affida il figlio alla sorella che vive in un villaggio nel sud del Libano. Scoppia la guerra con Israele (luglio 2006), si interrompono i rapporti con l’esterno. Angosciata, Zeina raggiunge Beirut, trova il tassista Tony che è disposto a portarla nel sud. Il secondo film del franco-libanese Aractingi – tipica docufiction – è la cronaca di un’affannosa ricerca attraverso i centri di raccolta profughi di un paese devastato dai bombardamenti. Nulla accomuna i due viaggiatori: lei è una borghese sciita, lui un popolano cristiano. I due interpreti (ben doppiati da Monica Ward e Luigi Ferrario), molto noti in Libano e ben guidati dal regista su un canovaccio da improvvisare, sono bravissimi. Il loro dolore recitato ha come sfondo il dolore autentico della gente che incontrano, raccontato senza concessioni al patetismo né allo spettacolo. Scritto con il franco-americano M. Léviant. Presentato a Venezia 2007.

ZØDIAC di David Fincher (2007)

19 Mag

Film TV: San Francisco, 1969: un serial killer uccide sette persone e sfida la polizia con lettere e messaggi criptici. Gli ispettori David Toschi e William Armstrong conducono le indagini, ma anche la stampa inizia a interessarsi al caso: in particolare i giornalisti Paul Avery e Robert Graysmith, che a poco a poco ne diventano ossessionati… La storia del serial killer che terrorizzò la California tra gli anni ’60 e ’70 (già oggetto di Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo!) pareva fatta apposta per le corde di Fincher, al suo meglio con le atmosfere cupe e ostili, le fisionomie ambigue, gli agguati silenziosi che restano confinati fuori campo.

Morandini: Zodiac – ovvero il cerchio dei segni, riferito al cielo e al sole – è lo pseudonimo con cui si firmò, nella sua prima lettera in codice inviata ai tre quotidiani di San Francisco, colui che diventò, come aveva annunciato, il primo assassino periodico degli USA o che, come tale, fu considerato. Agì dal 1968 al 1974. Scritto da James Vanderbilt col regista e in parte basato su un libro di memorie di Robert Graysmith, che sul serial killer indagò in forma privata, Zodiac è una detective story che del genere mantiene puntigliosamente la struttura, ma non rispetta le regole come non le aveva rispettate l’autore delle 37 aggressioni che seminò per anni il terrore nella baia di San Francisco. Film imbevuto di cinema, è nel fondo la storia di un’ossessione che accomuna i tre principali cacciatori (più uno): l’ispettore della Omicidi Dave Toschi che indaga in coppia col collega William Armstrong; Paul Avery, capocronista di nera del “San Francisco Chronicle”, e Robert Graysmith, vignettista dello stesso giornale. È un’ossessione che li trascina a rovinare le loro vite private. Fincher ha dedicato due anni alla preparazione e cinque mesi alle riprese (in digitale con cinepresa Viper). Il suo film è lungo, ma non prolisso e si tiene a distanza dalla finzione e dal cinema di genere con un’apprezzabile sobrietà.

LA FILLE COUPÉE EN DEUX di Claude Chabrol (2007)

11 Mag

Luca Ottocento da Cinemagnolie

Presentata fuori concorso al festival di Venezia del 2007, la penultima fatica cinematografica di Claude Chabrol, è un lucido e disincantato viaggio all’interno dell’animo umano e delle sue molteplici e sfuggenti sfaccettature. Come in molto cinema del cineasta transalpino, anche qui l’ambiente ritratto è quello borghese (del quale vengono sottolineate per l’ennesima volta le profonde contraddizioni e ipocrisie) e l’intreccio è una sorta di semplice canovaccio in cui far vivere personaggi complicati, ambigui, mai facilmente decifrabili o etichettabili. Questa volta al centro della storia vi è un triangolo amoroso che vede protagonisti un celebre scrittore, una giovane e attraente presentatrice televisiva e un rampollo di una famiglia ricchissima che vive di rendita.

 
Tutti i personaggi hanno i propri scheletri nell’armadio e un lato oscuro, latente, che cozza radicalmente con le apparenze (altro tema centrale della cinematografia chabroliana è proprio l’illusorietà dell’esteriorità) e la pubblica rispettabilità di ognuno di loro. Ciò che colpisce profondamente della pellicola è l’atteggiamento di Chabrol: egli non prende posizione nei confronti delle persone e delle vicende che mette in scena, limitandosi a descrive nel modo più distaccato e freddo possibile, senza alcun tipo di moralismo, un mondo le cui cifre dominanti sono la finzione e l’inganno. La regia, come sempre, è essenziale e assai funzionale alle esigenze narrative ed espressive. Frutto di una concezione del cinema come momento di riflessione, L’innocenza del peccato è un film piuttosto interessante e stimolante, anche se di certo aggiunge ben poco al lavoro del maestro francese.

NON PENSARCI di Gianni Zanasi (2007)

26 Gen

Film TV: Stefano Nardini ha 35 anni e da quattro vive a Roma con l’improbabile sogno di incidere un disco. Il meccanismo narrativo accumula situazioni e stati d’animo, non tutti necessari. Ma Zanasi ha un grande pregio: riesce a non sprecare neanche uno dei caratteri, tutti definiti al meglio dapprima in sede di sceneggiatura e poi dalla recitazione degli attori. Prezioso.

NO COUNTRY FOR OLD MEN di Joel & Ethan (2007)

7 Dic

Giancarlo Zappoli: Llewelyn Moss trova, in una zona desertica, un camioncino circondato da cadaveri. Il carico è di eroina e in una valigetta ci sono due milioni di dollari. Che fare? Ispirato al romanzo del Premio Pulitzer Cormac McCarthy il film dei Coen conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, la coerenza e l’originalità dei due fratelli divenuti ormai un marchio di fabbrica. McCarthy è il riconosciuto interprete letterario dei mutamenti di un mondo (quello del West e della frontiera messicana) divenuto estremamente più violento di quanto non lo fosse nell’epoca che lo ha fatto divenire mito cinematografico. McCarthy non è però interessato a una cinica e compiaciuta presa d’atto di una realtà innegabile. Neppure i Coen lo sono. Qui si trova il punto di contatto tra le due letture di un’umanità che cambia. La chiave di volta sta proprio in questa parola: umanità. Perché i due registi ci offrono una sceneggiatura decisamente più eccessiva di quella, già considerata molto violenta, di un film come Fargo.
Le uccisioni abbondano in Non è un paese per vecchi ma si inseriscono in una narrazione che fa dell’iperbole la propria cifra stilistica. A differenza di Tarantino però i Coen non si fermano alla coreografia raffinata della violenza. Non si accontentano di ironizzare. Non gli basta mostrare quanto sono bravi a suscitare il riso dinanzi a un uomo che muore. Non è questo il loro scopo. Ciò che per loro conta è riuscire a mettere in rilievo anche solo una scintilla di umanità in un mondo che sembra governato dalla follia. Riescono a farlo grazie al personaggio dello sceriffo interpretato da un Tommy Lee Jones che, non a caso, è uno dei protagonisti di questo film dopo aver diretto e interpretato Le tre sepolture ambientato anch’esso al confine con il Messico. Osservate la scena finale e vi accorgerete di come i Coen riescano ancora, nonostante le apparenze, a fare un cinema di qualità, spettacolare ma al contempo profondamente ‘diverso’ e morale.

Film TV: I fratelli Coen sono grandi autori con un difetto: amano il cinema di testa, meno quello di cuore e di trippa; questa volta trovano una materia narrativa adatta al loro stile, perché solo con l’ironia e il distacco ci si può immergere in una storia che ha un’unica, incontrovertibile morale: la vita è uno schifo. E la colpa è nostra. Il rigore della loro messa in scena diventa così l’ideale scrittura visiva di una rappresentazione dell’inferno rivoltato, dove la violenza è un linguaggio universale ma senza ragione, dove il passato è una terra straniera e lo spazio e il tempo, il Texas infinito ed eterno, sono gli elementi che “schiacciano” i personaggi, ricordandoci quanto siano (siamo) piccoli e vani.