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DIREKTØREN FOR DET HELE di Lars von Trier (2006)

20 Apr

Film TV: Il proprietario di una società è intenzionato a vendere tutto. Ma quando i potenziali acquirenti vogliono definire l’operazione con il presidente della società, si scopre che quest’ultimo in realtà non esiste realmente. Il proprietario decide allora di ingaggiare un attore fallito per interpretarne il ruolo… Una commedia molto divertente sugli equivoci, gli inganni, i soprusi, le tensioni di un’azienda, sull’odiata Islanda (ricca e buzzurra) e la decadente Danimarca, sul teatro, sul cinema e sui personaggi che tutti (non solo l’attore protagonista) siamo costretti a impersonare giorno dopo giorno e che, giorno dopo giorno, divorano la nostra autentica personalità. Gli interpreti sono straordinari, i dialoghi in punta di penna, laconici, surreali.

Giancarlo Zappoli: Lars Von Trier si prende una (apparente) vacanza dal dramma della trilogia ‘americana’ per confezionare una commedia di cui si diverte a rivelare le scelte di scrittura intervenendo ogni tanto come voce off. In realtà aveva già dato prova di saper volgere in sorriso la crudeltà sadica del suo sguardo sul mondo in Idioti. Qui però, autoliberatosi dai vincoli del Dogma, può dare ancor più libero sfogo a una vena satirica che, come sempre, non riesce a contenere il suo strabordante ego. A questo punto scatta la dinamica consueta: o si apprezza o si detesta il ‘marcio’ che Lars trova non solo in Danimarca ma nel nostro mondo. La falsità dei rapporti di lavoro, il profitto che calpesta qualsiasi relazione, il bisogno di autoaffermazione che scavalca ogni concetto di equità. L’etica è una parola cancellata dal vocabolario e se il ruvido businessman islandese non finge neppure di averla mai sentita nominare a poco servono i machiavellismi di chi vuol negare a se stesso la propria amoralità.

Morandini: Ravn vuol vendere la sua azienda di informatica, ma ha un problema: da quando l’ha costituita, si è inventato un falso capo irraggiungibile sul quale scaricare la responsabilità di decisioni impopolari. Poiché i futuri compratori islandesi insistono nel voler negoziare il trapasso col capo in persona, assolda per impersonarlo un attore… Giunto ai 50 anni e deciso a “rivitalizzarsi”, von Trier ha scritto e diretto per la prima volta una commedia che è una commedia nella commedia. Molto parlata. Lo spunto è ingegnoso e allude alla realtà, a una strategia padronale che ognuno di noi conosce. Qua e là il film è faticoso da seguire, e persino sgradevole, almeno agli occhi. Nei titoli di testa il nome del direttore della fotografia è sostituito da un dispositivo tecnico: AUTOMAVISION. Siamo o no nel campo dell’informatica? Von Trier dichiara che non era lui a tenere il controllo, ma il computer. È difficile credergli; il “grande capo”, quello vero, è il regista. C’è da divertirsi, comunque, a sentire gli islandesi insultare i danesi che li hanno governati per quattro secoli.

N (Io e Napoleone) di Paolo Virzì (2006)

6 Apr

Morandini: Napoleone Bonaparte, esiliato, sbarca sull’Isola d’Elba. Tra chi non lo festeggia c’è Martino Papucci, maestro di scuola di idee libertarie, che lo odia e medita di ucciderlo. Scritto con Furio e Giacomo Scarpelli e Francesco Bruni dal romanzo N di Ernesto Ferrero con l’intento di applicare i dispositivi della commedia italiana a un film storico, mescolando umorismo e dramma in chiave popolare(sca), il tentativo è parzialmente riuscito. Momenti convincenti sul versante “serio” su Napoleone, grazie anche alle doti recitative di Auteuil, convenzionale la descrizione della famiglia Papucci, nonostante il ribaltamento finale dei ruoli tra i due fratelli. Tra i personaggi di contorno un Ceccherini meno abituale e una Bellucci più brava del solito. A torto trascurato dal pubblico.

Film TV: Isola d’Elba, 1814: il popolo e i nobili locali accolgono con entusiasmo Napoleone al confino. Ma il giovane maestro Martino Papucci, idealista e libertario, architetta di uccidere il tiranno, responsabile ai suoi occhi di aver tradito la rivoluzione… Virzì pensa a Berlusconi (sospetto confermato da due battute inconfondibili: “Mi consenta” e “Miracolo elbano“) e al capitalismo che si è mangiato il ’68. Il regista livornese compie un interessante tentativo: contaminare la classica commedia all’italiana in costume alla Gigi Magni con il cinema impegnato dei fratelli Taviani. Tra i comprimari, Massimo Ceccherini è una spanna sopra tutti.

LITTLE MISS SUNSHINE di Jonathan Dayton & Valerie Faris (2006)

16 Mar

Morandini: La piccola Olive Hoover (strepitosa Abigail Breslin, nominata all’Oscar), simpaticissima bambina occhialuta, coltiva il sogno di diventare reginetta di bellezza. Selezionata per il concorso di Little Miss Sunshine, coinvolge la sgangherata famiglia nel viaggio in pulmino per la California: il papà che insegue un successo editoriale, la mamma iperattiva, il fratello nichilista in silenzio, uno zio gay, il nonno cocainomane. Nel viaggio gli Hoover si confrontano con sé stessi e tra loro. Marito e moglie nella vita, Dayton e Faris ne fanno una commedia intelligente sulla stravaganza delle relazioni umane e sulle illusioni dell’american dream. Basta il concorso di bellezza con bambine/automi truccate come mostruose Barbie; la galleria dei freaks fa da antidoto al cinismo. Divertimento garantito con risvolti commoventi. Uscito in Italia in sordina dopo i successi al Sundance e a Locarno. Oscar alla sceneggiatura di Michael Arndt.

Film TV: La piccola Olive sogna di vincere il titolo di “Little Miss Sunshine”… Niente di nuovo, ma tutto gira e ci scappa anche qualche risata. In sceneggiatura si avverte l’umanità dei personaggi, pur con qualche forzatura nella costruzione. La ridicolizzazione del fanatismo (non solo statunitense) per la bellezza e il successo è un po’ facile e già vista, anche se il finale è un piccolo colpo di coda.

THE GOOD GERMAN di Steven Soderbergh (2006)

12 Feb

Giancarlo Zappoli: Luglio 1945. Il corrispondente di Guerra, ora in divisa, Jake Geismer torna a Berlino per occuparsi della Conferenza di Potsdam che vedrà presenti Truman, Churchill e Stalin.  Intrigo a Berlino è stato girato così come lo si sarebbe potuto girare nel 1945. Stesse macchine da presa, stessi mezzi di illuminazione, stesse condizioni di registrazione del suono, stesso bianco e nero. Sul piano tecnico solo la ‘ratio’ (i rapporti tra larghezza e altezza del fotogramma) è leggermente cambiata a causa dei proiettori oggi in uso. Da questo punto di vista il film rappresenta una scommessa vinta. Lo è invece molto meno sul piano dello spettacolo. Realizzare nel nuovo millennio un ‘finto’ film del 1945 (con qualche incongruenza sul piano del linguaggio e della rappresentazione della sessualità, che mai avrebbero potuto passare il vaglio del Codice Hays di censura) rischia di diventare un’operazione tanto curiosa sul piano filologico quanto sterile su quello narrativo. È invece interessante il tema dibattuto: in guerra diviene ‘lecito’ ciò che, una volta che questa si è conclusa, viene letto come una colpa. Soderbergh non manca poi di ricordarci, facendoci attraversare le macerie di una Berlino ricostruita a Los Angeles, che in quella guerra la bomba atomica fece il suo esordio, anche se ‘fuori campo’.

LA SCONOSCIUTA di Giuseppe Tornatore (2006)

26 Gen

Marianna Cappi: Meno enigmatico, più chabroliano nel suo inserire la protagonista come un detonatore d’esplosivo all’interno di una famiglia borghese, il film ha il grande pregio di presentarsi più secco e nudo degli altri, spoglio d’enfasi espressive e non costruttive. Un cast di attori noti –Favino, Gerini, Degli Esposti, Buy, Molina- vortica senza protagonismi attorno alla “sconosciuta” Xenia Rappoport, interprete russa di scuola teatrale, cuore e corpo del film, che sulla sua figura si regge senza barcollare. La schiavitù sessuale delle ragazze che entrano nel nostro paese dalla frontiera orientale non è qui materia da denuncia sociale ma sfondo di un incalzante thriller psicologico macchiato di orrore che ci aggancia fino agli ultimi minuti, quando fa capolino qualche inquadratura troppo lunga, sussulti di sentimentalismo che, in coda, non inquinano ormai più. L’emozione nasce dalla centralità di Irena, dalla forza di un personaggio femminile che cerca di riconquistare un pezzo della sua vita e della sua femminilità che le è stato rubato con il ricatto e la violenza. Nell’inquadrarla, nel seguirla, nel calibrare il proprio ritmo sul suo respiro sospeso dalla paura, Tornatore dà prova di riuscire a nascondere, per una volta, i virtuosismi della macchina da presa e a farli sparire dentro la storia che racconta, a tutto vantaggio del godimento dello spettatore.

Film TV: Irena, una ragazza ucraina che vive già da molti anni in Italia, arriva in una città del Nord per cercare lavoro come cameriera. Tornatore ha una notevole fluidità di racconto: solo qualche sbavatura, qualche minuto di troppo. Si entra nel film in pochissimi istanti, scaraventati da una forza centripeta che con afflizioni e pene (e un cinema forte e compatto, sicuro e spavaldo) ti accompagna in un regno di morti viventi e di mostri. E la russa Kseniya Rappoport, assai nota in patria, per noi è una rivelazione.

Morandini: (…) un film, scritto da Massimo De Rita, imperniato sulla suspense che è anche un melodramma e un thriller. Il 9° film di Tornatore ha disorientato il pubblico e spaccato in 2 i critici anche perché, distratti dai soliti eccessi (dovuti alla sua bêtise di narratore di razza) e da qualche inverosimiglianza, i più ne hanno trascurato l’attualità: “raccontare l’arrivo, nella parte più intima e privata della borghesia italiana, di estranei, badanti, baby-sitter o colf che ci si sforza di non percepire ma che ormai costituiscono l’ossatura del quotidiano” (Emiliano Morreale). Non a caso gli scontenti/dissenzienti hanno sorvolato o ignorato la straordinaria interpretazione in presa diretta della Rappoport (premiata con un David di Donatello) che fa da architrave alla storia, trascurando il distacco critico verso i personaggi di contorno e l’incisiva energia con cui disegna quelli negativi: il rapato, infame Muffa di M. Placido e il torvo, servile portiere di A. Haber.

MARIE ANTOINETTE di Sofia Coppola (2006)

26 Dic

Film TV: Maria Antonietta, la minore delle figlie di Francesco I e Maria Teresa d’Austria, a quattordici anni viene concessa in sposa a Luigi XVI, futuro re di Francia. La giovane giunge a Versailles, dove deve affrontare un ambiente molto diverso da quello della corte austriaca, senza inoltre riuscire ad accattivarsi la simpatia del popolo. La Coppola mette in scena l’oggi attraverso un racconto di formazione dove l’adolescente cresce maturando solo in senso sentimentale. Le altre direzioni sono precluse: questa è un’epopea d’amore verso un’età dell’oro appassita per mancanza di puntelli sociali e civili. Azzeccati Aphex Twin, The Cure e altri in colonna sonora.

Giancarlo Zappoli: La Coppola torna a lavorare con Kirsten Dunst. Aiutata da costumi straordinari (Milena Canonero) e da una colonna sonora che mescola musica d’epoca a brani di Bow Wow Wow, New Order e Phoenix, Sofia Coppola ci fa “sentire” moderna una storia antica, evitando i cliché storici e la ricostruzione politica. È di una donna che ci vuole parlare, una donna che soffre per la disattenzione sessuale del marito che si trova caricata come colpa, una donna-bambina che compensa le frustrazioni giocando con scarpe, cibi, cani come una ricca signora di Beverly Hills. Guardatela nella prima inquadratura che precede il titolo e che ricorda come capacità di sintesi quella del maestro Kubrick in Eyes Wide Shut. Sembra esserci tutta Maria Antonietta e invece ci sono 2 ore in cui procedere nella scoperta.

Morandini: L’alleanza tra Austria e Francia ha bisogno di essere suggellata con un’unione matrimoniale: l’ultima figlia dell’imperatrice Maria Teresa viene così inviata in Francia, per sposare il futuro Luigi XVI. Basato sulla biografia di Antonia Fraser, il racconto prescinde dal contesto sociostorico: un film in costume, ma non storico (non a caso la rivoluzione praticamente non si vede e il film si chiude prima della decapitazione). Il suo è ancora un altro film su un sentimento e uno stato d’animo. Girato prevalentemente nei sontuosi interni della reggia di Versailles, con una ricostruzione sfarzosa, e i magnifici costumi di Milena Canonero. La sua vera forza sta nel ritratto della protagonista. Con un approccio moderno, la Coppola crea un universo iperbarocco, una gabbia dorata in cui Maria Antonietta si muove incosciente: le pressioni della madre, gli intrighi di corte e la dolorosa indifferenza del consorte, la noia sono affogate in una vivace ubriacatura di scarpe, gioielli, dolci, tessuti preziosi, parrucchieri e qualche amante. Ai ritmi techno, acid, rock anni ’80 alternati a musica d’epoca, la luminosa Dunst incarna con grazia e malizia questa regina teenager.

DAS LEBEN DES ANDEREN di Florian Henckel von Donnersmarck (2006)

24 Nov

Film TV: Giustamente premiato in ogni dove (Oscar americani, europei, tedeschi…), il film si rintana nella brechtiana Ddr dominata dalla famigerata Stasi. Straordinario il compianto Mühe nei panni del solitario e spietato “spione” Gerd Wiesler: è lui il simbolo, l’emblema, di una disfatta politica e umana.

Morandini: Frutto di quattro anni di ricerche e di lavoro sulla sceneggiatura, questo primo film di un giovane regista è un’opera prismatica e inquietante che potrebbe diventare il modello di un film riuscito a tutti i livelli. Lo è come documentario ricostruito sulla Stasi e l’“età del sospetto”; come thriller a suspense; come film di spionaggio; come film storico-politico che rievoca senza tabù il passato di una nazione e non scivola nella demagogia oratoria della denuncia. Pur con qualche flashback, l’azione comincia nel 1984 e fa capo a due personaggi principali: Gerd Wiesler (Mühe), in sigla HGW XX/7, implacabile e competente capitano della Stasi (Ministero per la Sicurezza dello Stato che contava su 13 000 funzionari e 170 000 collaboratori non ufficiali), e Georg Dreyman (Koch), drammaturgo di successo e intellettuale assai apprezzato dal regime. Epilogo di tristezza emozionante. Girato in 37 giorni nel 2004 in 35 mm. Cinemascope (fotografia: Hagen Bogdanski) e un anno di postproduzione. Musiche: Gabriel Yared, Stéphane Moucha con la “Sonata per un uomo buono” di Beethoven. Rinomato attore di teatro, Ulrich Mühe morì nel luglio 2007.

LES TEMOINS di André Techiné (2006)

2 Ott

Film TV: (…) un film d’azione con le parole e un dramma sull’insensatezza di ogni schema. Le ideologie tradizionalistiche sono un cancro così come l’Aids e nessuno salva nessuno. Tutti diventano testimoni di un collasso.

Morandini: Programmato, e incompreso, al Festival di Berlino 2007, il 16° film di A. Téchiné, scritto con Michel Canesi e Jamil Rahmani, racconta il dramma dell’Aids in cadenze di commedia ora malinconiche ora amare, con una squadra di attori magistralmente diretti: oltre al quartetto dei principali, dove spiccano M. Blanc, principe dei caratteristi, e una inedita E. Béart alle prese con un ruolo sgradevole (sua è la voce over), c’è la memorabile prostituta Sandra di C. Dollé che, con la defilata Julie, è uno dei personaggi positivi della storia. Forse il punto debole è l’epilogo… Da notare la contrapposizione tra le scene sul mare e quelle sulla Senna (fotografia: Julien Hirsch), filmata in modo suggestivo.