: se non hai visto il film, ti consiglio di rimandare la lettura a dopo la visione
“E’ tempo di morire…” l’ultima immagine che rimanda un Rutger Hauer a capo chino che se ne andrà via come lacrime nella pioggia. Finisce qui la presenza del personaggio a cui Ridley Scott attribuisce il monologo più roboante del cinema moderno. In realtà, mentre la pioggia rimbalza sulla sua nuca sorridente e rassegnata, avviene il trapasso eccezionale che trasforma la fine in un inizio consentendo al profilo di Roy, bianco come un monumento rinascimentale, di divenire immortale. Merito del regista, averlo ucciso senza farcelo veder morire nella prima edizione (dove è la voice off a decretarne la morte) come nel director’s cut, addirittura migliore in quanto lo spiro è lasciato all’intuizione. Facile ma non decretata.
«I’ve seen things you people wouldn’t believe. Attack ships on fire off the shoulder of Orion. I watched c-beams glitter in the dark near the Tannhauser Gate. All those… moments will be lost… in time, like tears… in rain. Time to die. »
Morandini: Nella Los Angeles del 2019 Rick Deckard, ex poliziotto, torna in servizio per ritirare dalla circolazione due uomini e due donne “replicanti” (Nexus 6), androidi dotati di memoria artificiale e deperibili (4 anni di vita). Ispirato al romanzo Ma gli androidi sognano pecore elettriche? (1968), sceneggiato da Hampton Fancher e David Peoples, è il migliore film di SF degli anni ’80 e di Ridley Scott. Dopo Metropolis (1926) di Fritz Lang nessun film, forse, aveva proposto un’immagine così suggestiva e terribile del futuro come la metropoli multirazziale, modernissima e decadente, ideata dall’artista concettuale Syd Mead e dallo scenografo L.G. Paull (con la fotografia di J. Cronenweth, gli effetti speciali di D. Trumbull, le musiche di Vangelis). A livello narrativo si può sospettare che anche il cacciatore di androidi Rick Deckard sia un androide, suggerimento che nel 2007 diede anche Goffredo Fofi, che come antecedente cita un testo teatrale di M. Bontempelli, Minnie la candida (1927). Sul versante tematico può insospettire il lato filosofeggiante, residuo del romanzo (scritto nel 1966). Il finale, imposto dalla produzione a Scott, è smaccatamente consolatorio, ma il fascino figurativo e la sagace commistione di thriller nero e fantastico sono fuori discussione. Ovviamente i soci dell’Academy che dà gli Oscar non se ne accorsero. Nel 1991 fu rimesso in circolazione in una nuova edizione curata dal regista, eliminando la narrazione fuori campo, con qualche ritocco e un finale diverso. Nel 2007 fu presentata a Venezia una versione definitiva, sostanzialmente molto simile a quella del 1991, dal titolo Blade Runner – The Final Cut.
Film TV: Siamo a Los Angeles, brulicante e immensa, nel futuro prossimo: un ex detective della polizia, specializzato nella caccia e nel “ritiro” di replicanti ribelli, viene richiamato in servizio per scovarne quattro, evasi da una colonia extraterrestre. Dopo il successo avuto col primo “Alien“, Ridley Scott ritorna alla fantascienza, mischiandola però alle atmosfere noir dei polizieschi degli anni Quaranta. Il risultato è affascinante: per le labirintiche, soffocanti scenografie, per la ruvida malinconia del racconto, per la presenza superba di Harrison Ford. Il film, modificato dai produttori, è uscito secondo la versione originaria nel 1991. Ma le modifiche della produzione, per una volta, non erano state stupide. Nella versione di Scott manca la voce over (che fa molto hard boiled) e il finale “rapinato” a “Shining” di Kubrick. Volete mettere il (finto) lieto fine della prima versione? Al termine del viaggio intrapreso da Deckard e Rachel non c’era il paradiso terrestre ma l’Overlook Hotel…
Morandini: La storia di un duello che, continuamente interrotto per ragioni diverse, dura quindici anni. I duellanti sono due ufficiali francesi degli Ussari dell’epoca napoleonica, ossessionati da una assurda rivalità. Da un racconto (1908) di Conrad, un film di raffinata eleganza figurativa. I due attori americani iniettano una carica di selvaggia energia in una confezione britannica fin troppo agghindata. Primo lungometraggio di Ridley Scott, regista pubblicitario.
Mereghetti: Accurato e quasi maniacale nella ricostruzione scenografica e raffinato nella scrittura cinematografica, il film deve gran parte del suo fascino a una scelta estrema anti-realistica (il ricorso continuo al controluce, il cambio delle fonti di illuminazione all’interno della medesima scena, così che, quando i due cavalli si sfidano a cavallo, ognuno galoppa con il sole alle spalle) e una scelta narrativa che cancella progressivamente le ragioni che potrebbero giustificare il duello per sottolineare solo il lato irrazionale dell’odio che divide i duellanti e che il regista accentua ancora di più riducendo al minimo il ruolo dei sentimenti, delle relazioni sociali, della comunicazione. Il film a Cannes entusiasmò Roberto Rossellini.
Film TV: È un duello senza fine quello tra il tenente ussaro Armand d’Hubert e l’ufficiale Gabriel Féraud. Quest’ultimo è un tipo particolarmente collerico e, dopo aver sfidato d’Hubert per la prima volta per un futilissimo motivo, continua a perseguitarlo con sfide successive. Tratto dalla novella, Il duello – Racconto militare, di Joseph Conrad, si tratta della notevole opera prima di Ridley Scott.
Morandini: Da una cittadina dell’Arkansas due amiche partono in auto per un weekend lasciando volentieri a casa i rispettivi uomini. Settimo film di R. Scott e uno dei suoi migliori. Il merito è anche della sceneggiatura – premiata con l’Oscar nell’anno di Il silenzio degli innocenti – di Callie Khouri che gli ha fornito una bella storia, una feconda combinazione di dramma e commedia, due personaggi vivi, un punto di vista nuovo, un discorso insolito che riprende l’anarchismo liberale del cinema di strada degli anni ’60. Con due ottime interpreti, è uno dei film più euforicamente femministi mai arrivati da Hollywood.
Film TV: Thelma, casalinga un po’ ochetta, tutta dedita al marito, e Louise, cameriera in un fast food, partono per un weekend in montagna. Dopo l’orrore metafisico di “Alien” e quello noir di “Blade Runner” Scott filosofeggia sul femminismo e ribalta, al femminile, i luoghi classici del film “on the road”, rileggendo, non più in chiave mitica, paesaggi e generi cinematografici dove la violenza si colora di nostalgia e gli uomini sono condannati senza speranza.
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