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GOOD NIGHT and GOOD LUCK di George Clooney (2005)

14 Nov

George Clooney: “Io spero che con questo film abbiamo reso merito ai giornalisti coraggiosi. Erano dei patrioti e come tali devono essere ricordati“.

 

Giancarlo Zappoli (mymovies): Ed Murrow che nel 1953 condusse dagli studi della CBS una dura battaglia contro il senatore McCarthy propugnatore delle liste di proscrizione contro i ‘comunisti’ che causarono perdite di lavoro, incentivazioni della delazione e anche suicidi tracciando una pagina nera della storia americana. Clooney sceglie uno stile “old fashion”. Un bianco e nero lucido ci accompagna in un percorso che conta soprattutto sui volti degli attori decidendo inoltre di non far interpretare a nessuno il ruolo di McCarthy. Tutte le immagini dell’ottuso e rancoroso senatore sono affidate a materiale di repertorio. Clooney ci narra dell’ieri con davanti una chiara visione dell’oggi.

A HISTORY OF VIOLENCE di David Cronenberg (2005)

10 Gen

Film TV: Tom Stall, padre di famiglia dall’esistenza apparentemente tranquilla… La violenza è disturbante e come tale va descritta. È evidente che Cronenberg prende le distanze dai meccanismi di spettacolarizzazione così tipici dell’ultima Hollywood, nelle sue pratiche “alte” o “basse”: ne risulta un film densissimo di significati ed estremamente inquietante. Bravissimi tutti gli attori, da Mortensen alla Bello, con una menzione speciale per lo sfregiato e sublime Ed Harris.

Giancarlo Zappoli: Tom Stall è il proprietario di un piccolo ristorante in una cittadina di provincia. Tratto da un fumetto di John Wagner il film di Cronenberg torna sui territori cari al regista: l’identità, la possibile schizofrenia, il rapporto tra realtà e apparenza. Anche lo stile narrativo gioca su questi elementi, tanto che il film potrebbe essere oggetto di una doppia recensione. Se lo si prende per come appare si tratta di un thriller molto stereotipato con buone dosi di esagerazione narrativa e di umorismo spesso involontario. Se invece lo si legge a partire dalla prima inquadratura che sembra un quadro di Hopper allora le cose cambiano. Si pensa al Cronenberg raffinato intellettuale che opera una rilettura sui generi per svelarne la fragilità e l’ambiguità. Questa volta propendiamo per la prima scelta quasi che il regista canadese, dopo la complessa prova di Spider avesse deciso di avvalersi di una fonte di ispirazione “bassa” per vedere come i meccanismi narrativi funzionano in quel contesto senza però volersene distanziare criticamente. Grande, come sempre, Ed Harris.

Morandini: Tom Stall vive da vent’anni con la moglie Edie, avvocato, e due figli. Primo film di Cronenberg su una sceneggiatura altrui, ma da lui ritoccata, offertagli dalla New Line, cavata dall’omonima graphic novel (1999) di John Wagner e Vince Locke. A livello stilistico è il suo film più classico e lineare, macchina perfetta che però cela un’insolita ricchezza di temi, toni, sfumature e una concretezza realistica non priva di sottile ironia. Si può leggerlo come una parabola sugli Stati Uniti, nazione contaminata dal suo violento passato, o come un’altra metafora sulla normalità della violenza di un pessimista che racconta storie su esseri in cui l’umanità coabita con l’animalità e le sue appendici patologiche. Esemplare l’ambivalente quieto finale. Personaggi scritti con perizia; interpreti scelti e guidati con talento. Girato a Toronto (Canada), città natale del regista che ha trovato Millbrook nell’Ontario.

PEINDRE OU FAIRE L’AMOUR di Arnaud et Jean Marie Larrieu (2005)

23 Dic

Giancarlo Zappoli: William e Madeleine abitano in una città ai piedi della montagna. Sposati da lungo tempo, con una figlia che vive in Italia, sono fedeli l’uno all’altra. Durante una passeggiata Madeleine decide di ritrarre una vecchia casa. Commedia tipicamente francese sul risveglio dei sensi che si pensavano già sopiti in una coppia borghese. Nulla di nuovo sotto il sole. Ivi compresa la bravura degli attori.

Morandini: A Grenoble William, meteorologo in pensione, e Madeleine, pittrice dilettante, sono una coppia di cinquantenni tranquilli e affiatati che, partita l’unica figlia per l’Italia, sono presi da una sottile inquietudine, come consapevoli della vecchiaia in arrivo. Sbrigato da disattenti critici contenutisti come una commedia, volgarotta nel suo intellettualismo, sulla promiscuità sessuale, l’opus n. 4 dei fratelli Larrieu è un film crepuscolare e un po’ onirico in cui è determinante la presenza dei paesaggi di montagna. Percorre l’ambiguo territorio dei sentimenti e della ritrovata sensualità in una coppia matura che, in modo quasi innocente, regredisce ai fremiti dell’adolescenza e s’inoltra verso l’ignoto. È un film sul tempo che passa e sul tempo che fa, così importante quando non si è in città. Nell’affiatato quartetto degli interpreti la Azéma e Auteuil, per la prima volta insieme, recitano intensamente con un buon margine di improvvisazione.

Mauro Gervasini: (…) è un film involontariamente comico, impossibile da prendere sul serio. Non fraintendete, non per il tema, che può essere sviscerato in mille modi, di sicuro anche interessanti, ma per come invece lo trattano i due registi. Con una estetica da pro loco della campagna francese e un intersecarsi di snobismi intellettuali da far paura. Di fronte alla scena di “sculto” di Amira Casar che dopo aver urinato chiede a Daniel Auteuil di essere pulita, come è possibile che registi, attori, sceneggiatori non si pongano delle domande sul senso di quel che accade e sull’effetto che potrebbe avere (e infatti ha) sul pubblico?

LEMMING di Dominik Moll (2005)

26 Nov

Giancarlo Zappoli: Alain Getty è un giovane e brillante ingegnere in domotica. Con sua moglie Benedicte riceve, nella loro nuova casa, il suo capo Richard Pollock con la consorte. Questo incontro cambierà la vita della giovane coppia. Dominik Moll ama il cinema “d’intrusione”. Con il suo precedente film Harry: Un amico vero aveva già mostrato questo interesse. Ora lo vuole “di-mostrare” in modo quasi programmatico. Seguendo un percorso in cui l’irrazionale entra nella vita di una coppia apparentemente solida. Il film si fa seguire grazie anche alla bravura del quartetto di protagonisti.

Morandini: Che ci fa un piccolo roditore delle zone artiche, semiannegato nello scarico di un lavello in un elegante e postmoderno appartamento di Toulouse? La metafora dovrebbe significare la lenta e inesorabile autodistruzione cui oggi inclina l’umanità o, forse, soltanto la dominante borghesia del ricco Occidente. Scritto con Gilles Marchand, il film di Moll è un ambizioso thriller psicologico a mosaico. Comincia benissimo con l’invito a una cena che si trasforma in una scenata furiosa e impregnata d’odio. Si prosegue in un enigmatico gioco dei quattro cantoni tra morbosità fantasmatiche e comportamenti ambigui, angoli oscuri e nascoste nevrosi, sino alle superflue soluzioni finali. In un quartetto di attori affiatati spicca la Rampling, inglese dagli occhi verdi.

Film TV: Interpreti tutti grandiosi. Si temono intenti scambisti e invece no, si scivola nel thriller psicologico, con punte di horror. Una delle due donne è perfida, l’altra, forse, posseduta. La seduzione scorre sul lato nascosto delle convenzioni borghesi, quello dark, delle allusioni e delle inquietudini rimosse, che potrebbero risorgere come fantasmi. Il regista Dominik Moll è confuso, inizia come Michael Haneke e finisce come David Lynch, senza uno stile personale che non sia déjà-vu. E non gli si perdonano i simbolismi, come quello del piccolo roditore suicida, il lemming appunto, che funziona come deus ex machina e lascia un po’ sconcertati.

BROKEN FLOWERS di Jim Jarmusch (2005)

7 Ott

Film TV: Jarmusch registra con spassionata complicità il viaggio non risolutivo di Don, trasformandolo tra le righe anche nell’immersione in un’America invisibile. La macchina da presa indugia, sottolinea la solitudine di Don, accettando i suoi tempi morti e i suoi sguardi perplessi.

Giancarlo Zappoli: Bill Murray offre a Jim Jarmusch quella maschera che, da Lost in translation in poi, lo caratterizza in interpretazioni assolutamente ineguagliabili. Gli incontri con le donne del suo passato (tra cui spicca, per sobrietà e profondità di interpretazione, Sharon Stone) gli permettono di rivisitare il ruolo di seduttore che gli si è appiccicato addosso ma, soprattutto, di percepire come lo scorrere del tempo muti profondamente l’immagine interiore che ci si costruisce sulle persone e che si vorrebbe immutabile. È un gioco di specchi quello che si sviluppa tra Don e le sue ex compagne. Un gioco in cui ciò che appare dell’altro sconcerta, spiazza, obbliga ad abbandonare facili semplificazioni. È un on the road dell’anima quello che Jarmusch ha costruito attraverso piccoli tocchi di regia, sguardi, atmosfere, emozioni trattenute e cose non dette. Un viaggio che il pubblico farà bene a compiere con lui.