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GOOD NIGHT and GOOD LUCK di George Clooney

14 Nov

Una lezione di liberalismo autentico di Emanuela Martini

È la sera del 25 ottobre 1958, una cena celebra l’attività di Edward R. Murrow, anchorman e giornalista della Cbs, conduttore del talk show Person to Person e del notiziario See It Now: foto di gruppo, brusio di voci, il blues nell’aria. In controluce, delineato dal fumo della sigaretta, ecco il profilo di Murrow, che poi sale sul podio a parlare. Parole dure e quiete: siamo tutti grassi e felici, la televisione è fatta per distrarci e isolarci, riflette solo evasione e decadenza… Stacco: 14 ottobre 1953.
Comincia qui, durante una normale riunione di redazione, la guerra privata di Ed Murrow (che durante la Seconda guerra mondiale si è fatto una grande reputazione con i suoi reportage da Londra squassata dalle bombe naziste) contro il moloch aggressivo che minaccia le libertà elementari degli Stati Uniti: il senatore Joseph McCarthy, che con la sua Commissione per le attività antiamericane sta indagando, processando, rovinando chiunque gli capiti a tiro, chiunque si ostini a difendere la libertà di parola, di opinione, di circolazione, di espressione. La paura e il sospetto sono nell’aria, ma Murrow e la Cbs non si tirano indietro.

Di questo parla Good Night, and Good Luck: di televisione, che deve anche ”istruire e illuminare; altrimenti sono solo fili e luci in una scatola”, e di liberalismo autentico, dove esistono contraddittorio e informazione, e di una sfida vinta per tenacia. George Clooney parla di un episodio del passato pensando al presente, e lo fa con un coraggio che è non solo ideale, ma soprattutto stilistico. Chiuso tra gli uffici e gli studi della Cbs e il bar all’angolo dove si ritrovano i giornalisti (a parte due brevissime scene familiari), ostinatamente attaccato ai volti e ai gesti dei personaggi e ai loro dialoghi serrati, scandito con una velocità adrenalinica che però sa anche prendersi minuti di silenzio, Good Night, and Good Luck rielabora una struttura classica (quella dei Kazan-Lumet-Penn degli anni ‘50 e ’60) con i piani sequenza, l’overlapping dialogue e gli zoom del cinema Usa anni ’70, di Altman e Scorsese. Non divaga, non “alleggerisce”, non concede spazi alla distrazione. Con un bianco e nero pastoso e contrastato, dialoghi stringati alla Ben Hecht, un cast esemplare (David Strathairn, attorniato da Clooney, Daniels, Langella, Downey jr. e gli altri), tiene in perfetto equilibrio il piacere della narrazione e l’esigenza morale.

FilmTV n. 38/2005

MAR ADENTRO di Alejandro Amenábar

15 Feb

Vivere è un diritto di Emanuela Martini

: se non hai visto il film, ti consiglio di rimandare la lettura a dopo la visione

Ramón, da anni costretto in un letto, completamente paralizzato dal collo in giù, abituato a sorridere perché «quando non puoi scappare e dipendi totalmente dagli altri impari a piangere ridendo», deciso a procurarsi la morte per vie legali, senza mettere nei guai nessuna delle persone che lo aiutano, perché «vivere è un diritto, non un obbligo». Mare dentro di Alejandro Amenábar racconta la storia della sua lunga battaglia per raggiungere la morte, circondato da donne che lo accudiscono e lo amano, divise tra il desiderio di aiutarlo e quello di tenerlo in vita. Chiuso in una stanza, che si squarcia sulle sue improvvise visioni interne, i suoi ricordi, l’immagine del mare che lo ha accolto da giovane e poi lo ha stroncato, il film di Amenábar è una curiosa, calcolata miscela di rigoroso autocontrollo e di smaniante evasione immaginaria. Come si fosse messo dentro la testa e il cuore del protagonista (immobile, necessariamente sulla difensiva, protetto dall’autoironia) Amenábar raffredda l’emotività (che avrebbe potuto essere esplosiva), aiutato in questo dalla recitazione millimetrica di Javier Bardem. Ma nello stesso tempo non resiste alla sinuosa mobilità della macchina da presa, alle aperture che gli consentono i sogni e i desideri irrealizzabili del protagonista: gli zoom si avvicinano, brevi e scanditi, ai primissimi piani dei personaggi raccolti intorno al letto di Ramón; la musica classica (Wagner, Nessun dorma) che accompagna la sua solitudine sottolinea i voli (ripetuti) oltre la finestra di quella stanza; il tuffo in mare che gli è costato l’uso del corpo torna, secco come una frustata e avvolgente come una placenta, a segnare il passaggio tra la vita e la morte.


Nel momento più bello del film, appunto quello dell’incidente raccontato a un’amica, tutta la vita gli passa davanti agli occhi, scandita dalla successione rapida delle fotografie dei volti, i luoghi, le ragazze amate. Ed è la vitalità suggestiva dello sguardo di Amenábar che in fondo ci fa capire perché Ramón vuole morire: perché non c’è musica, voce, affetto che tenga di fronte all’impossibilità di essere, e di riconoscere, se stessi.

da Film TV